1998-...: Il Verona di Pastorello - parte 3
di Francesco Tamellini
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Malesani
Comportamenti Malesani


I tifosi in fondo ci credono e trasportati dall’entusiasmo trasmesso dal nuovo allenatore segnano il record di abbonamenti nell’era Pastorello. Le attese, almeno all’inizio, non vengono deluse. Già dalla partita d’esordio, contro la Roma, si capisce infatti che qualcosa è cambiato. La squadra corre, lotta, si diverte, impone ritmi frenetici alla partita mettendo così in crisi gli avversari. Qualsiasi avversario. Il Verona infatti dopo essersi rodato nelle prime sette giornate (otto punti) esplode in tutta la sua bellezza: va a vincere facile a Firenze (0-2), domina Parma in trasferta e Juventus in casa facendosi però ingenuamente recuperare due gol di vantaggio (entrambe finiscono 2-2 con gol avversario allo scadere) e infine sconfigge in un derby che passerà alla storia la capolista Chievo, fino a quel momento imbattibile. Al termine della partita Malesani con la sua corsa estasiata sotto la curva è l’ideale manifesto dell’incontenibile gioia del popolo helladino.

Del resto quella messa in piedi dal tecnico veronese è una squadra spettacolare soprattutto in attacco: a sinistra Mutu esce dall’anonimato della stagione precedente trasformandosi in fuoriclasse completo, svaria su tutto il campo ma è soprattutto quando affonda sulla fascia (nove volte su dieci salta l’uomo) che da il meglio di sé. A destra cerca di imitarlo “el picinin” Camoranesi, a volte distratto in fase di copertura ma devastante nel dribbling e nei cross, che trovano spesso puntuale la sorpresa Frick, giocatore non dotatissimo tecnicamente, ma con grinta e generosità da vendere. Insomma un attacco quasi da scudetto al quale fa però da contraltare una difesa forse troppo leggera e ancora inesperta.

Malesani e Mutu In città si comincia a parlare di Uefa ed in effetti la squadra seppur senza mai dare veramente l’impressione di poter conquistare l’ambizioso obiettivo, continua nel suo ottimo cammino, compensando con sei vittorie consecutive in casa le altrettante sconfitte in trasferta (dove però l’Hellas fa tremare la Roma che vincerà il campionato). La contestazione contro Pastorello e la sua conduzione troppo manageriale e poco passionale della società, lentamente si placa. Inevitabile quindi che il presidente decida di sacrificare per una volta i suoi istinti imprenditoriali resistendo a gennaio alle numerose offerte per Adrian Mutu e poi rinnovando a febbraio il lauto contratto a Malesani. Un sacrificio economico importante che purtroppo non tarderà a farsi sentire. Per il momento però tutto sembra andare a gonfie vele: la squadra, interrotta a Lecce la brutta striscia in trasferta veleggia in una posizione di medio-alta classifica tanto da potersi considerare già salva. Ci sono insomma tutte le condizioni ideali per guardare comunque con serenità al futuro e programmare un ciclo lungo e vincente. E invece di colpo qualcosa si rompe.

Promessa mantenuta

Cannavaro
Numerosi infortuni, una certa rilassatezza, qualche episodio arbitrale contrario, mancanza di esperienza e fragilità psicologica fanno entrare la squadra in un tunnel senza uscita. Il Verona non riesce più a fare risultati e giornata dopo giornata rinvia l’appuntamento alla domenica successiva, fallendo però ogni volta. Pastorello è assente, Malesani va in crisi psicologica, i giocatori sono inesperti ed in alcuni casi colpevolmente indifferenti. Con una situazione del genere l’epilogo sembra scritto ed infatti la retrocessione arriva puntuale nella vergognosa trasferta di Piacenza. L’Hellas perdendo scende per la prima volta alla quart’ultima posizione, ma lo fa nella giornata più sbagliata.

Le scene che lasciano la trasferta di Piacenza sono quasi strazianti: i settemila tifosi gialloblu che fino all’ultimo minuto hanno incitato con impareggiabile passione i loro colori precipitano in un misto di rabbia ed incredulità, Malesani disperato vaga in mezzo al campo piangendo lacrime amare mentre pure Pastorello appare parecchio provato. La promessa tanto sventolata alla tifoseria è irrimediabilmente compromessa e il peggio deve ancora venire.

Già dai giorni successivi infatti comincia a venire a galla una inquietante verità destinata a gettare ombre pesanti sul comportamento di giocatori e presidente. Si vocifera infatti che in molti avrebbero ad un certo punto deciso di girare le spalle al presidente, reo di non onorare (da febbraio) il pagamento dei loro stipendi. Chiaro l’obiettivo: una volta retrocessi i giocatori sarebbero stati liberi di partire per altri lidi, più remunerativi e puntuali nei pagamenti. Pastorello, come un pivello, prima non si accorge della delicata situazione, poi interviene goffamente quando la frittata è fatta. Finisce nella maniera più ingloriosa con lo stesso presidente al capezzale dei giocatori per convincerli disperatamente a firmare le liberatorie ed evitare l’ulteriore ignominia del fallimento societario.

Derby di ritorno
Bilanci in rosso, Pastorello al verde, tifosi in bianco


Il Verona infatti non solo precipita nell’inferno dei cadetti ma anche in una gravissima crisi finanziaria che era già latente e che esplode in pieno con il calo di introiti dovuti alla retrocessione e con il momento di crisi generale del calcio. Pastorello non ha, o più probabilmente, non vuole coprire i buchi con le proprie risorse per puntare alla pronta risalita (cosa che fanno invece con successo Lecce, Reggina, Atalanta e altre) e così mette in atto una svendita con pochi precedenti nel tentativo di evitare il fallimento della società (e delle proprie casse). Sarà un’annata di “lacrime, sudore e sangue” preannuncia… come se prima fossero state solo rose e fiori!

Questa volta naturalmente la promessa viene mantenuta. Il capitano Leo Colucci, Gilardino, Mutu, Camoranesi, Salvetti, Seric, Frick, Oddo, Giuseppe Colucci, Ferron, Zanchi, Cannavaro, Dainelli, Nigmatullin, Montano e il ds Foschi se ne vanno uno dopo l’altro e trovano rimpiazzo con giovani pescati dalla Primavera (Cossu, Dossena, Abbruscato, Biasi) e prestiti e/o contropartite raccattate in giro per l’Italia (Gamberini, Yllana, Salgado, Comazzi, Vieri). Malesani ad inizio campionato si trova così per le mani una squadra senza capo ne coda, modestissima sul piano tecnico, e per di più stravolta nell’immediata vigilia del torneo dalle cessioni di Mutu (quasi regalato al Parma), Frick, Seric e Salvetti. I tifosi dal canto loro sono sempre più allibiti e se la prendono un po’ con tutti: con Pastorello che in sei mesi da incubo ha portato la società al fallimento sportivo e sull’orlo di quello economico proprio nell’anno del centenario che dovrà essere “festeggiato” con una squadra ingloriosa in serie B. Ma anche con i giocatori, apparsi troppo disinteressati alle sorti del Verona se non proprio intenzionalmente colpevoli del suo crollo. Il termine mercenari sembra più indicato che mai e fortuna loro che Pastorello gli evita il linciaggio della folla vendendoli uno ad uno. E infine con Malesani troppo fragile ed insicuro per traghettare fuori dai pericoli i suoi uomini.

La fine di un’era
I 7000 di Piacenza

Come preannunciato il nuovo Verona regala ben poche soddisfazioni. Parte malissimo, poi si riprende con una buona striscia di risultati utili che sembrano proiettarlo nelle zone alte della classifica, ma è solo un fuoco di paglia. La squadra gioca male, senza entusiasmo, e i tifosi, sempre molto numerosi e vicini (più di settemila abbonati nonostante tutto), devono assistere a dei spettacoli spesso deprimenti. Il rapporto con Pastorello è definitivamente compromesso, gli striscioni e i cori di scherno sono tutti per lui. Il presidente vicentino allora si muove per vendere, arriva addirittura ad annunciare la cessione a febbraio salvo poi fare un rapido dietro-front. La trattativa con Paiola prosegue poi per mesi (con il coinvolgimento della multi-nazionale messicana Modelo) ma alla fine non se ne fa nulla. Così a fine stagione con una salvezza acciuffata, non senza qualche patema, dalla squadra di Malesani i tifosi sono costretti a rassegnarsi ad un’altra annata di stenti.

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