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Hellas Verona english presentation

6. Una lezione imparata, una da consegnare

 

LA LEZIONE DI JURIC Mentre l'anno scorso, complici la sospensione prima e lo slittamento poi dei campionati, ci sono stati pochi cambi di panchina e quasi tutti con esito negativo, quest'anno, grazie al vaccino e al graduale ritorno alla normalità, abbiamo assistito al valzer delle panchine con alcune situazioni davvero curiose: siamo passati dai ritorni eccellenti di Allegri, Mourinho, Spalletti e Sarri che alzeranno il livello qualitativo del prossimo campionato alla fuga di Conte (Take Money and Run, si cantava una volta), dalla stretta di mano di Inzaghi a Lotito, alla scoperta che Dionisi è un traditore seriale (accusatori: Empoli e Sampdoria). Infine, al contratto da rispettare (verbo molto inneggiato da Juric) ma coniugato a modo suo.

Il tecnico croato ci ha lasciato 2 splendidi risultati sportivi e 1 lezione di vita. Fondamentale. Da una parte, le potenti emozioni che ci ha fatto vivere nel corso di questo biennio non si dimenticheranno presto, con prestazioni alla pari contro chiunque, generando apprensione ovunque. E poi il merito di chiudere entrambe le stagioni nel lato sinistro della classifica, facendo meglio di molte altre piazze che hanno speso di più e male. Per la storia, ricordo, Juric segue l'immancabile Bagnoli (4 volte), ma si pone davanti a Mandorlini e Prandelli (1) in questa particolare classifica.

La lezione di vita che ci ha lasciato, invece, è che non dovremmo innamorarci degli interpreti, per quanto bravi e simpatici possano apparire. Verona è stata per Juric, in definitiva, una tappa della sua carriera, un bollino positivo come lo fu Crotone e migliore di Genoa, dove non è riuscito ad esprimersi in pieno. Non importa se Setti lo ha recuperato da un periodo grigio e gli ha offerto grande visibilità, non importa neppure se gli ha fatto un contratto pluriennale con cospicuo rialzo di ingaggio. Ad un certo punto ha stabilito che il suo lavoro qui era finito, che non c'erano più le condizioni per “alzare l'asticella” ed ha scelto Torino (a mio avviso, poteva scegliere di meglio) per proseguire il suo progetto professionale.  Juric, insomma, ci ha ricordato che lui è un professionista e pertanto è solo di passaggio, anche se è stato molto amato: i protagonisti vanno e vengono, solo il Verona rimane.

Del resto, i continui mal di pancia, l'insofferenza verso il Presidente e, in alcune occasioni anche verso la squadra erano evidenti a tutti. Nelle conferenze stampa parlava solo delle difficoltà della stagione e di come era riuscito a superarle, dimenticandosi che nel girone di ritorno il Verona si è letteralmente fermato, riuscendo a cogliere solo la metà dei punti dell'andata. Sta di fatto che, a forza di parlare del passato e pensare al (proprio) futuro,  Juric ha trascurato il presente. Diciamo, a partire da Cagliari in avanti. Per poi recuperare qualcosa nel dignitoso finale di stagione, come commiato. Ci mancheranno sicuramente le sue illuminanti spiegazioni tattiche, di come parla dei giocatori e di come prepara la partita. Non ci mancheranno invece alcune esternazioni a volte fuori luogo, e nemmeno quella comunicazione apparentemente empatica e diretta che, ad un certo punto, abbiamo confuso come amore eterno nei nostri confronti. Di eterno, non c'è proprio niente. E questo ha fatto bene a ricordarcelo.

UNA TEORIA BISLACCA Juric ha costruito la sua e nostra fortuna nella disciplina tattica, concedendo libertà e fantasia sulla base della protezione del collettivo. Falso 9, inserimenti degli esterni, lo sviluppo tecnico muscolare della fascia sinistra, il grande assetto difensivo sono alcune delle tante caratteristiche tattiche del suo Verona che abbiamo apprezzato. Ma soprattutto, la compattezza e la grinta dimostrata in campo, come se ogni partita fosse quella decisiva. Lo ricorda bene Veloso quando rammenta la sua filosofia: andiamoci a prendere la palla, se li aspettiamo siamo morti. Ma  per rendere possibile ciò, ci ha spremuti.  Di qui il numero incredibile di infortuni muscolari (e ricadute) patiti durante la stagione, complice anche, ma non solo, i fitti impegni agonistici. E meno male che non facevamo le Coppe...

Forse, proprio da qui è partita la sua necessità di cambiare aria. Al di là della limitata disponibilità di investimento di Setti, magari lo stesso Juric ha capito che oltre a questo punto non poteva andare con questi giocatori. E se fosse proprio questo il suo limite? Ovvero l'impossibilità di portare a termine un ciclo duraturo? A causa del suo carattere e della sua inquietudine lo vedo il classico allenatore che arriva, sprigiona tutta l'energia positiva che riesce, se ne va. Gli manca la pazienza di consolidare i risultati raggiunti. Ogni ciclo virtuoso invece alterna fasi di crescita verticale a fasi di crescita orizzontale. L'asticella, l'ha raggiunta eccome quest'anno confermando i valori dell'anno precedente. Ma invece di ripartire da ciò che ha ottenuto, lavorando sui dettagli rimasti irrisolti (ad esempio l'attacco sempre sotto performante e il lancio di nuovi giovani) ha deciso di andare via. Lui ha continuamente bisogno di nuovi stimoli, nuovi giocatori, ricominciare tutto daccapo.

La domanda che mi pongo è se, in definitiva, Juric possa davvero appartenere alla categoria di quei tecnici in grado di realizzare un ciclo duraturo come, ad esempio fece a Verona Mandorlini e, altrove, Gasperini a Bergamo, Inzaghi a Roma, Sarri a Napoli, De Zerbi a Sassuolo. Oppure fa parte della categoria di quei tecnici che sollecitano a tal punto la squadra che oltre ad un certo limite non possono andare e devono per forza ricominciare altrove (nell'elenco metterei Conte, Ballardini, Gattuso, Iachini). Due anni al massimo. E' sintomatico il fatto che giocatori cresciuti  rapidamente con lui in maniera esponenziale finiscono poi per sparire lontani da lui (eccezion fatta per Pessina). Non parlo solo degli ex gialloblù ma anche degli ex genoani accantonati e recuperati qui da noi (Veloso, Lazovic, Gunter). Non è un limite tecnico, il suo, ma esclusivamente caratteriale.

Poiché Juric appartiene al nostro passato, oramai, verificherò col Torino se questa teoria è bislacca. Se ne avrò voglia. Piuttosto, è importante capire se qui a Verona ha lasciato macerie oppure un ambiente comunque fertile da cui ripatire. Propendo decisamente per la seconda.

UN REGALO A DI FRANCESCO Dal punto di vista tattico, Juric e Di Francesco sono agli antipodi. Di Francesco punta sul possesso palla, più che sull'uomo. Predilige il principio dell'elasticità, secondo cui l'allenatore modula le proprie scelte in base alle capacità e alle caratteristiche dei calciatori a disposizione. Ha un modulo di massima (il 4/3/3), ma ne ha utilizzati diversi a seconda delle situazioni. Entrambi però hanno la capacità di far crescere i giovani e non temere le sfide impossibili. A Sassuolo ha scoperto giocatori importanti come Berardi, Acerbi e Sensi e la rimonta sul Barcellona in Champions League sono perle di una carriera che si è un po' persa per strada.

Infatti, Di Francesco arriva dopo due fallimenti consecutivi. Cosa potrebbe trovare a Verona che non è riuscito a Genova e Cagliari, due società della nostra stessa fascia tecnica? Problemi ambientali o suoi errori di relazione? Cosa hanno avuto Ranieri e Semplici più di lui tanto da riuscire a ricucire in fretta e bene lo strappo che aveva creato?

E' una bella sommessa quella di Setti, dopo non essere riuscito ad agganciare Italiano. Una scommessa basata però su un rischio calcolato: la rosa a disposizione è affidabile e il gruppo coeso. Perderà sicuramente qualche pezzo pregiato per fare cassa, ma il Verona sa stare in campo. E poi, anche qui ci sono giovani promettenti da inserire. A Di Francesco verranno chiesti 1) la salvezza 2) la valorizzazione di nuovi talenti in ottica plusvalenze future. Dal punto di vista ambientale, i tifosi gialloblù si innamorano facilmente (ne abbiamo già parlato), non dovrà gestire elementi ingombranti che mai avrebbero potuto trovare spazio con Juric e avrà la giusta visibilità mediatica che certamente né il Presidente, né D'Amico sono intenzionati ad oscurare. Insomma, con tutti i limiti finanziari, il Verona è un'isola felice, che paga con regolarità gli stipendi (a differenza di Cagliari e Sampdoria) e dichiara in partenza che non può permettersi di fare il salto più lungo della gamba. Ma nemmeno vuole correre i rischi di Parma, Cagliari e Torino dell'ultima stagione.

Con piacevole sorpresa, infine, ho scoperto che Di Francesco ha diversi estimatori tra gli ex gialloblù: Cammarata, Guardalben e soprattutto Tommasi  scommettono sulle sue capacità e sull'Hellas come ambiente adatto per restituirgli quella serenità e quella volontà di riscatto di cui ha bisogno. Cinicamente parlando, arriva con la lavagnetta tattica in una mano e  la valigia pronta per il prossimo esonero nell'altra. Tanto, un Iachini o un Tudor si trova sempre in caso di bisogno. Ma se le cose dovessero invece andare bene, come auspichiamo, se insomma la squadra dovesse imparare a seguirlo e ad apprezzarlo come ha fatto con Juric, ci troveremmo  in casa una persona riconoscente verso i nostri valori e verso il calore che riceverà. Torna il pubblico al Bentegodi, non dimentichiamolo. E pertanto saremo noi, questa volta, a fargli un grosso regalo: a Verona ci sono tutte le condizioni per lavorare bene. Benvenuto mister.

Massimo

Colonna sonora: Per Juric: Un'estate fa (non c'eri che tu) di Califano

Per Di Francesco: Should have known Better di Sufjan Stevens




Hellastory, 15/06/2021

MASTER OF NONE


L'inizio del terribile calendario di febbraio offre un paio di impressioni a caldo: 1) che il Verona è vivo e combatte, 2) che però è stato indebolito in attacco dal mercato di gennaio perché giocatori come Ngonge e Djiuric non sono facili da sostituire. A bocce ferme, quindi con maggior consapevolezza, possiamo invece realizzare che nel corso di gennaio abbiamo assistito a 3 eventi importanti, 2 dei quali francamente inusuali. In primo luogo, l'importante cessione di talento finalizzata a sistemare i conti societari. In secondo luogo, una serie di operazioni di mercato volte essenzialmente a lasciar andare quei giocatori che non si sentivano più parte del progetto. In terzo luogo, la bocciatura del sequestro delle azioni del Verona in sede di appello. Se però i primi due li abbiamo metabolizzati dal punto di vista affettivo oltre che tecnico costringendo i tifosi ad affidarsi completamente alla bontà del lavoro di Sogliano e Baroni e alla speranza che i nostri avversari non si siano adeguatamente rinforzati nel frattempo, il terzo apre a scenari che non riusciamo a valutare nella sua complessità.

[continua]

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Riepilogo stagionale e classifica generale




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