Tutto ha inizio nella Primavera
del 1990. Mentre la città si prepara ad ospitare il mondiale di calcio,
l'Hellas vive un momento di grande difficoltà tecnica ma soprattutto
societaria. La dirigenza Chiampan, reduce dagli anni d'oro dello scudetto
già da tempo era diventata il bersaglio della tifoseria che la accusava
di aver smantellato troppo presto la squadra che tante soddisfazioni
aveva dato. Già all'inizio della stagione 1988-89 i tifosi della
curva avevano realizzato ed esposto in bella mostra un gigantesco striscione
con
la scritta: "Chiampan-Polato: Verona rovinato".
Chiampan si era nascosto accusando i tifosi della curva di contestarlo
solo perchè si era posto a capo di una lotta contro la violenza.
In realtà i tifosi si erano resi conto dello sfacelo cui rischiava
d'andare incontro la loro squadra del cuore, così rozzamente gestita
da una politica societaria senza sbocchi e senza amore. La stagione si
concluse con una salvezza sofferta. La squadra era ormai in disarmo:
ma nuove picconate stavano arrivando; e per renderle più consistenti,
stavolta, avrebbero adoperato forse anche la dinamite.
E la dinamite scoppiò provocando danni memorabili. Probabilmente
era stata acquistata con gli ultimi spiccioli, poiché, appena
esplosa fragorosamente, fu annunciato che i soldi , misteriosamente,
erano tutti scomparsi. Eppure quell'estate erano
stati
venduti proprio tutti: Chiampan e Polato si erano sistemati con la loro bancarella
al centro del mercato, avevano esposto la scritta "Vendo tutto",
e avevano ricavato un bel gruzzolo. Cervone e Berthold erano stati
ceduti alla Roma; Bonetti alla Juventus; Pacione al Torino; Caniggia
e Bortolazzi (in alto a destra) all'Atalanta; Troglio (a
destra) e Soldà alla Lazio; Iachini (in basso
a destra), Pioli e Volpecina in un unico pacco alla Fiorentina; Galderisi
di nuovo
al Milan... ma i due padroni annunciarono che di soldi non
ce n'erano più. Andarono da Franco Landri, vecchio marpione del mercato,
gli diedero 2 lire e gli dissero: "Vedi un po' se con queste puoi
mettere insieme una squadra". Quello si applicò di buona
lena e radunò una quindicina fra vecchie glorie, ragazzi in
prestito, scarti di vario genere e sconosciuti in cerca di fortuna.
Nessuno dei giocatori dell'anno precedente si presentò con la
casacca gialloblù all'inizio della stagione 1989-90. Tutti
i giocatori della rosa erano dei nuovi acquisti. Si capisce bene che
Bagnoli ebbe da lavorare parecchio per assemblare una squadra totalmente
rinnovata e dalla bassissima caratura tecnica.
Nonostante ciò egli
riuscì a combinare l'ennesimo miracolo e solo all'ultima giornata
l'Hellas dovette retrocedere, in seguito alla sfortunata e storica
trasferta di Cesena. I nostri uscirono comunque tra gli applausi. Loro
il proprio dovere l'avevano fatto fino in fondo, impegnandosi
al massimo delle loro possibilità.
Chi invece aveva la coscienza sporca era la dirigenza. Chiampan
e Polato, null'altro più avendo da vendere, avevano
ormai deciso di cedere la società. Mille voci si accavallarono sui possibili
successori. L'onorevole Gianni Fontana, con la sua caratteristica
espressione compunta tipica dell'uomo destinato a portare sulle sue
spalle il peso di tutte le sofferenze del mondo, si premurò di
far sapere al popolo che si sarebbe adoperato con fervore per organizzare
una cordata di galantuomini, in grado di rilevare la squadra e di
assicurarle i più radiosi destini. Le cordate ipotizzate dall'onorevole
Fontana tuttavia si rivelarono ben presto disperse a caccia di funghi
o di stelle alpine.
Chiampan cedette allora il Verona alla Invest, misteriosa società rappresentativa,
si disse, di facoltosi imprenditori operanti in ogni campo dello
scibile umano. Ne era portavoce tale Paolo Uzzo, faccendiere dalla
lingua sciolta che parlava proprio come i ricchi "cumenda" milanesi,
ma che si rivelò in breve tempo l'unico vero componente la
società: la nebulosa Invest altri non era, in realtà,
che lui da solo. Egli aveva numerosissimi precedenti per truffa:
dopo qualche tempo vennero gradatamente a saperlo tutti i giornalisti
locali, ma nessuno si sentì di scriverlo, né di mostrare
soverchie perplessità sulla gestione di quella gestione bizzarra;
la squadra, d'altra parte, si comportava con onore sul campo.
Nel suo non breve periodo di reggenza, Uzzo fece a turno apparire
e scomparire intorno alla società, come in un colorato gioco
di bussolotti, la più sgangherata carovana di personaggi che
mai si fosse vista nel pur popoloso sottobosco del grande calcio. Egli
presentò per primo come presidente, dopo aver scartato - disse
- prestigiose candidature, tale Angelo Di Palermo, avvocato milanese
che si presentò alla vigilia del campionato con queste due singolari
referenze: "1) Non capisco niente di calcio; 2) tutt'al più,
faccio il tifo per la Juventus". Dopo poche settimane, scomparve
improvvisamente dalla circolazione senza lasciare più traccia.
La poltrona presidenziale venne affidata a un giovane iraniano che
vendeva tappeti, tale Emil Mirzakhanian, nome impronunciabile dai tifosi
di Villimpenta e Michellorie. Un certo Roberto Pini, noto nell'ambiente
per essere l'autista di Uzzo, venne pomposamente presentato dopo qualche
mese come il nuovo amministratore delegato. A fare il direttore sportivo
fu chiamato a metà campionato tale Galigani, la cui fama era
talmente specchiata che, quando il Verona andò a giocare a Pescara,
trovò una folla di tifosi locali ad aspettarlo fuori intonando
compatti il coro: "Galigani, rendici i denari".
Lasciando la società in mani così sfuggenti, Chiampan
aveva tuttavia contattato prima di andarsene un allenatore di buon
lignaggio quale Eugenio Fascetti (a sinistra), cui
venne affidato l'incarico di tentare subito alla guida del Verona la
risalita in Serie
A, impresa che gli era già riuscita tre volte in precedenza.
Dopo un avvio incerto l'Hellas prese a marciare speditamente sistemandosi
nella zona alta della classifica.
La situazione societaria, per tanti mesi governata dai maneggi più misteriosi,
si era nel frattempo gradatamente deteriorata, sino ad esplodere
con fragore in primavera, rivelando le paurose crepe prima goffamente
nascoste da quella ridicola passerella di personaggi da baraccone.
Il glorioso Hellas subì l'umiliazione del fallimento,
e rischiò di scomparire per sempre dal panorama del calcio professionistico.
Il racconto delle vicende sportive fu soppiantato sui giornali da
avvilenti storie di bilanci artefatti, truffe malandrine, indagini
di polizia e liti giudiziarie. Al termine di una sequela di vicende,
la società fu in qualche modo salvata da una cordata
di imprenditori facente capo alle famiglie Mazzi e Ferretto,
cui il governo calcistico dell'amico Matarrese concesse di conservare
comunque il titolo sportivo
e quindi di evitare l'onta dei campionati dilettantistici. Fascetti
riuscì abilmente a tenere la squadra lontana da ogni vicenda
societaria permettendo così all'Hellas di conquistare la promozione
già alla quart'ultima giornata. Il Verona, miracolosamente
sopravvissuto, era già tornato in Serie A.
|