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La scheda di Saverio Garonzi

Garonzi
Saverio Garonzi


Nato a: Verona
Il: 1910
Morto a: Verona
Il: 25.03.1986
Nazionalità: italiana
Ruolo: Presidente
Palmares: 2 promozioni in Serie A (Hellas verona 1967-68, 1974-75) 1 campionato primavera B (Hellas Verona 1967-68)
Squadre di cui è stato presidente: Hellas Verona (dal 1967-68 al 1978-79), Paluani Chievo

Cercare di raccontare la storia di Saverio Garonzi in questa breve scheda può sembrare un atto presuntuoso. Troppi gli episodi, le avventure, i fatti, di cui il leggendario Saverio si rese protagonista da quando sul finire degli anni ‘60 prese in mano le redini della squadra della sua città: l'Hellas Verona.

Da quel giorno nulla fu più come prima, per il Verona, che sotto la geniale guida di uno splendido condottiero entrò finalmente a far parte della storia del calcio italiano, e per lo stesso Garonzi che da quel momento divenne uno dei personaggi più amati e discussi, protagonista quasi sempre «sopra le righe» di innumerevoli episodi e colpi di scena (promozioni, successi ma anche rapimenti, retrocessioni a tavolino, squalifiche a vite) fino all'ultimo tragico che se lo portò via nel 1986 dopo essere caduto dal tetto di un capannone dove stava controllando con alcuni operai il procedere dei lavori in corso.

Tra questi colpi di scena che contraddistinsero la sua vita non può non essere ricordato l'episodio del suo rapimento, che sconvolse e tenne in ansia l'intera città. Erano le 19:20 del 29 gennaio 1975 quando Garonzi, al rientro nel suo appartamento dopo una giornata spesa tra l'antistadio e gli uffici della sua concessionaria, venne sequestrato da due malviventi mascherati che, dopo averlo caricato in auto, non senza incontrare resistenza, scomparvero dalla vista dei pochi testimoni presenti dirigendosi verso Milano. L'incubo per Garonzi finì nove giorni dopo, la mattina del 7 febbraio, quando venne rilasciato dai sequestratori nel bergamasco, in seguito al pagamento del riscatto di un miliardo e mezzo ad opera del nipote Brunetto. Memorabile il suo commento quando si presentò, stanco e con il volto tumefatto, per la prima volta in pubblico dopo la drammatica esperienza: «Un miliardo e messo, son rovinà».

Garonzi era un presidente «vecchio stile», sanguigno ed autoritario. Per intendersi, faceva parte di quella folta schiera di presidenti, gli Anconetani, i Rozzi, che riuscirono partendo dal nulla a fare le fortune di piccole squadre provinciali, animati più dalla passione che non dalla moneta sonante. Era poi un vincente, un uomo in grado di raggiungere il successo grazie ad un spiccato senso pratico ma anche grazie alla capacità organizzativa e alla lungimiranza.

I meriti di Garonzi sono innumerevoli. Innanzitutto riuscì finalmente a dare una organizzazione seria e professionale alla società, dotandola di impianti sportivi all'avanguardia (Veronello, centro sportivo oggi intitolato a suo nome) e valorizzando un settore giovanile fino ad allora mai sfruttato. E poi portò a Verona ottimi giocatori (Zigoni su tutti) che garantirono ai tifosi una stabile permanenza in serie A ed un paio di acuti di primissimo rilievo come lo scudetto scippato al Milan nel 1973 e la finale di Coppa Italia raggiunta nel 1976.

Ma Garonzi riuscì a conquistare i tifosi, oltre che con i risultati, anche con le sue splendide battute, rigorosamente in dialetto.

Garonzi era un burbero. Ce l'aveva con il sistema, con gli arbitri. E pagò a caro prezzo queste sue battaglie. Due episodi in particolare sono da ricordare. Il primo riguarda la famosa telefonata del 1974 che costò al Verona una incredibile retrocessione a tavolino. Perché? Molto semplice. Al termine di un campionato combattutissimo, nel quale l'Hellas era riuscito a salvarsi con un solo punto di vantaggio dal Foggia terz'ultimo in classifica, un giornale napoletano lanciò un sospetto su una telefonata che avrebbe coinvolto Garonzi e l'attaccante del Napoli Clerici (ex-gialloblu) alla vigilia di un caldissimo e decisivo Verona-Napoli, poi finito 1-0 per gli scaligeri. Il contenuto della conversazione, da un iniziale scambio di saluti tra vecchi amici, si sarebbe poi spostato su una generica promessa del patron gialloblu di un interessamento per cercare di trovare all'attempato attaccante partenopeo un futuro extra-calcistico. La cosa insospettì non poco la Caf che dopo aver ascoltato gli interessati ed aver riscontrato delle contraddizioni nell'impianto difensivo dell'imputato principale (Garonzi che prima negò poi confermò) decise di spedire il Verona in serie B. La piazza insorse di fronte a quella che sembrò ai più una sentenza sproporzionata ed ingiusta ma non vi fu nulla da fare.
Il secondo episodio che lo vide in forte contrasto con il Palazzo fu anche quello che decretò la fine della sua avventura in gialloblu. Ci riferiamo alla partita Pescara-Verona della stagione 1978/79. L'annata era cominciata nel peggiore dei modi e il tentativo di dare una svecchiata alla rosa non aveva fatto altro che indebolire la squadra che fin dalle prime giornate era precipitata nelle ultime posizioni di classifica. La cosa chiaramente non faceva per nulla piacere al presidente, che inevitabilmente finì per accumulare giornata per giornata una profonda rabbia derivante dalla frustrazione e dalla delusione nel vedere i gialloblu scivolare lentamente ed inesorabilmente in serie B. Questa rabbia esplose appunto in occasione della partita contro il Pescara dopo un generoso rigore concesso dall'arbitro Menicucci agli abruzzesi. Garonzi, a fine partita andò «zò de brenton» scagliando ogni tipo di improperi contro tutto e tutti: arbitri, dirigenti, giornalisti. In cambio ottenne una squalifica a vita che lo costrinse ad abbandonare la società.

Ma come dopo la clamorosa sentenza della Caf nel 1974 e il terribile rapimento nel 1975, ancora una volta Garonzi reagì alla disavventura con orgoglio. Uscito dall'Hellas Verona andò infatti a fare le fortuna del Chievo, ponendo le basi per la futura, incredibile, ascesa del piccolo quartiere scaligero ai vertci del calcio italiano.






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