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La scheda di Carlo Petrini

Petrini
Carlo Petrini


Nato a: Monticiano (SI)
Il: 29.03.1948
Morto a: Lucca)
Il: 16.04.2012
Nazionalità: italiana
Altezza: 180 cm
Peso: 78 kg
Ruolo: Attaccante
Palmares: 1 Coppa dei Campioni (Milan 1968/69)
Club Scuola: Genoa
In Nazionale:Under 21: 1 pres. 1 gol; B: 1 pres. 0 gol (debutto 16/10/1968)

Carlo Petrini, un calciatore non memorabile nella storia del Verona, 17 presenze in A, due reti, la prima che illuse contro la Fiorentina alla 20a giornata, ma poi perdemmo 2-1, l'altra aprì le danze della 24° giornata contro il Cesena, partita che vincemmo 2-1. Ma paradossalmente il gol più famoso in gialloblù di Carlo Petrini fu uno annullato, dall'arbitro Michelotti, contro la Juventus, il 20 marzo 1977; l'arbitro e il guardalinee videro il pallone crossato da Zigoni oltrepassare la linea di fondo prima di essere insaccato da Petrini con un colpo di testa ad una manciata di minuti dalla fine; la moviola di Carlo Sassi alla sera nella DS si limitò a rilevare che non si capiva.
Già, per noi era il solito arbitraggio che subivamo quando venivano gli squadroni al Bentegodi; d'altra parte quello era il famoso campionato in cui le insopportabili zebrette fecero 51 punti col Toro a 50, quello stesso Torino che l'anno prima vinse il campionato con 45 punti. E quante congetture dietro a questi numeri, perché il Torino non poteva certo vincere 2 campionati di fila con la Juve seconda!!! Tornando a quel 20 marzo, il gol annullato provocò un inevitabile parapiglia in campo alla fine, dichiarazioni di fuoco negli spogliatoi, polemiche sulla stampa, anche perché nella partita di andata avvenne il fattaccio della bottiglietta che colpì Zigoni che però non venne creduto e non ci venne data la vittoria a tavolino come generalmente accadeva in casi del genere.
Ma la notizia più rilevante di quel 20 marzo 1977 fu che sulla pista, dalle parti della curva sud, venne rinvenuta una bomba da esercitazione, una SRCM, lanciata prima della partita e rimasta inesplosa; con le cautela del caso per non creare panico la cosa venne taciuta, la bomba a mano venne coperta con i materassi del salto in alto e fatta brillare al termine. Brevi indagini portarono a 3 arresti di giovani ultras gialloblù che ammisero tutto; dissero che avrebbero voluto usarla contro gli juventini. Qualche giorno dopo alla redazione del quotidiano locale giunse una sorta di rivendicazione ufficiale, nella quale si diceva «Un'intimidazione per il fronte bianconero ma anche un segnale per i tifosi milanisti, laziali, sampdoriani (il gemellaggio era ancora lontano) e tutti gli altri che dovranno venire al Bentegodi».
Parlavamo di Petrini, Carlo Petrini non il fondatore di Slow Food, ma quello stesso Petrini che, comprato dalla Roma, a Verona non sfondò in un campionato che comunque si concluse con una salvezza tranquilla; quel Petrini che poi scese in B a Cesena e che poi a Bologna «inciampò» nel calcioscommesse subendo una squalifica di oltre 3 anni, amnistiata per la vittoria del mondiale da parte della nazionale, cosa che gli permise di chiudere la carriera nelle serie minori. A carriera conclusa iniziò a denunciare il doping nel calcio, molti fatti pochi nomi, libri, inchieste, dichiarazioni che molti non presero per buone e che altri gli rimproveravano di non aver fatto finché giocava. Poi si ammalò gravemente, fece in tempo ad essere querelato da Luciano Moggi per un libro scritto su di lui, entrambi erano originari di Monticiano sulle colline metallifere senesi: entrambi personaggi molto controversi, usando forse un eufemismo.
Se quel gol di testa (che qui si può vedere

http://www.delbrous.com/index.php?option=com_content&view=article&Itemid=20&id=58:gianfranco-zigoni )

fosse stato convalidato dall'arbitro Michelotti ricorderemmo forse di più il Petrini gialloblù, ma così vanno le cose, si ricordano gli episodi di contorno a lui, mentre Michelotti gigioneggia ancora per le tivù private; quello stesso Michelotti che nell'ultima partita del 1969, Inter-Verona a San Siro verso la fine fischiò un rigore per il Verona che Gianni Bui purtroppo sbagliò: non andremo mai più così vicini a vincere a San Siro, non ci è ancora riuscito!

MM


Il passaggio del libro di Petrini «Nel Fango del Dio Pallone», dove parla, tra l'altro, anche del suo anno a Verona:

Giocai in maglia giallorossa la migliore stagione della mia carriera calcistica, un Campionato '75-76 da incorniciare. Tant'è vero che alla fine del torneo varie squadre di serie A volevano ingaggiarmi senza badare a spese. Arrivò un'offerta particolarmente vantaggiosa dal Verona, e la Roma fece l'affare: mi cedette alla società veneta.

...

A Verona trovai un ambiente molto diverso da quello che avevo lasciato nella capitale, era come se fossi passato dal Brasile alla Norvegia. Mi davano 30 milioni all'anno, ma Roma mi era entrata nel cuore e non mi davo pace.
Il presidente della squadra, Saverio Garonzi, era un uomo schietto e alla mano, però era un gran tirchio. Ricordo che una volta andammo in un club veronese, dove i tifosi lo premiarono con una medaglia d'oro e un mazzo di fiori. Garonzi, tutto contento, disse: «Vi ringrazio di questa medaglia, perché i fiori appassiscono ma l'oro resta». Il nostro allenatore era Valcareggi, l'ex commissario tecnico della Nazionale che cominciava a essere noioso come un pesce lesso.
La formazione-tipo del Verona era: Superchi, Sirena, Negrisolo, Franzot, Logozzo, Busatta, Fiaschi, Bachlecner, Petrini, Mascetti e Zigoni.

Il divo della squadra era Gianfranco Zigoni, la nostra ala sinistra. Agli allenamenti era sempre in ritardo, e quando finalmente si faceva vedere ci diceva: «Ragazzi, oggi siete arrivati in anticipo!». Ma Valcareggi gli perdonava tutto, anche l'abbigliamento: d'inverno Zigo si metteva pantaloni estivi, e andava in giro a petto nudo con addosso una pelliccia aperta davanti. I suoi privilegi e la sua faccia di bronzo provocavano molta invidia all'interno della squadra. Alla fine di agosto del '76 giocammo una partita di Coppa Italia a Piacenza. Dopo la gara ritornammo in pullman a Verona, e io saltai sulla mia Mercedes 200 D marrone targata Roma e me la filai a Torri del Benaco, dove avevo un appuntamento con una studentessa-tifosa che avevo conosciuto nel ritiro di Veronello.

...

Allo stadio veronese Bentegodi arrivò la mia ex squadra, il Genoa, nella quale avevo molti amici, compreso lo stopper Sergio Rossetti. Ci tenevo a fare una bella partita. Appena l'arbitro fischiò l'inizio della gara, persi tutto il romanticismo per la squadra nella quale avevo cominciato. Rossetti cominciò a puntare alle mie gambe, e quando mi atterrò per la terza volta persi la pazienza: alla prima occasione, con una gomitata in pieno petto lo buttai per terra e gli franai addosso. L'arbitro ci ammonì. Fu solo l'inizio: dopo scariche di insulti e colpi bassi di ogni genere, a un certo punto, durante una mischia in area genoana, gli piazzai un'altra gomitata, e Rossetti, mentre cadeva, mi colpì con una gran pedata.
L'arbitro tirò fuori il cartellino rosso e ci cacciò dal campo, ma noi continuammo la nostra rissa nel sottopassaggio degli spogliatoi.
Fra spintoni e insulti, non ci pestammo solo perché i due massaggiatori riuscirono a separarci trascinandoci nello spogliatoio.
Non sono mai stato un attaccabrighe, e neanche uno di quei giocatori impegnati a «spaccare» l'avversario. Però in campo mi facevo sempre rispettare dai difensori. Non ero come quelli che si facevano il segno della croce all'inizio della partita, e poi cominciavano a dirti a bassa voce: «Tua madre è una grandissima troia... Tua moglie è una vacca... Tua figlia è una ciucciacazzi... Sei un finocchio di merda», e via così fino a che ti saltavano i nervi.

...

Durante la settimana, di solito il giovedì, Valcareggi ci faceva fare una partita di allenamento, titolari contro riserve. E siccome le riserve volevano impressionare l'allenatore, e magari soffiare il posto a qualche titolare, ci davano dentro. Così, spesso ci scappava la rissa.

Un giovedì, durante la partitella, litigarono due titolari, Negrisolo e Zigoni: vennero quasi alle mani, e riuscimmo a dividerli a fatica. L'allenatore riferì l'incidente al presidente, e il commendator Saverio Garonzi ci convocò tutti per una lavata di testa.
Alla fine della ramanzina presidenziale, nel silenzio generale, un incazzatissimo Zigo disse a Garonzi: «Stai attento, Saverio, che se mi rompi i coglioni ce n'ho anche per te!».

Nella primavera del '77, pochi giorni prima della partita di Campionato Genoa-Verona, mi telefonò R. (attaccante dei rossoblu con cui avevo giocato nel Catanzaro). Mi disse che loro avevano assolutamente bisogno di vincere, gli occorrevano i due punti per salvarsi dalla retrocessione in B, e che erano disposti a darci 10 milioni. Il Genoa era la mia squadra del cuore, quella dove avevo cominciato la mia fortuna. Il Verona non aveva nessun bisogno di punti, la nostra permanenza in serie A non era in pericolo. E 10 milioni non erano da buttare, come tutti i ricchi noi calciatori di soldi non ne avevamo mai abbastanza. Così parlai della richiesta di R. con M. e S., e loro accettarono. Telefonai a R. e gli confermai l'accordo, ma non gli dissi che ne avevo parlato solo con due compagni di squadra: volevo dividere i 10 milioni il meno possibile.

Pochi minuti dopo l'inizio della gara mi inventai una stiramento e mi feci sostituire. Gli altri due miei compagni, in campo, fecero del loro peggio. La partita finì con la vittoria del Genoa per 1 a 0. Passarono alcuni mesi, e in autunno, sul mio conto corrente presso la Cassa rurale artigiana di Cesena, arrivò un bonifico di 10 milioni spedito da un paese della Calabria. Ne diedi 3 a M. e 3 a S., gli altri 4 milioni restarono sul mio conto. Appena potevo, scappavo a Roma. Nella capitale ritrovavo il calore caciarone che a Verona mi mancava.

...

Nell'estate del '77 il Verona voleva confermarmi per il Campionato successivo, ma io avevo intenzione di cambiare aria. L'amico Cordova mi aveva detto che la Lazio si stava interessando a me, e l'idea di tornare a Roma mi rendeva euforico solo a pensarci.
Nella trattativa si inserì il Cesena, che era appena retrocesso in serie B: pagando in contanti il mio cartellino, la società romagnola la spuntò sulla Lazio. Il Cesena voleva risalire subito in serie A, e pagava bene: mi ingaggiò per 30 milioni l'anno, ma nel contratto ne risultavano 20, gli altri 10 milioni mi venivano pagati «in nero».


Carriera in Campionato:
Stagione Squadra Serie Presenze Reti
1965-66 Lecce C 20 3
1966-67 Genoa B 28 3
1967-68 Genoa B 30 6
1968-69 Milan A 9 2
1969-70 Torino A 5 -
1970-71 Torino A 12 1
1971-72 Varese A 19 5
1972-73 Catanzaro B 36 11
1973-74 Catanzaro B 35 11
1974-75 Ternana A 21 3
1975-76 Roma A 24 6
1976-77 Verona A 17 2
1977-78 Cesena B 28 4
1978-79 Cesena B 22 2
1979-80 Bologna A 5 -
1980-81 squalifica - - -
1981-82 squalifica - - -
1982-83 Savona C2 26 7
1983-84 Cuneo D 21 7




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Centonze F.

Coppola D.

Duda O.

Folorunsho M.

Lazovic D.

Magnani G.

Mitrovic S.

Montipò L.

Noslin T.

Serdar S.

Silva D.

Suslov T.

Swiderski K.

Vinagre R.


 


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