parte 1 - Sul Campionato |
di Davide
Qualche tempo fa scrissi una frase, una specie di aforisma, un concetto, un riassunto di una sensazione che ho sempre sentito molto forte e che alla fine ho chiarito in queste poche parole: “l’attesa che un sogno si avveri è il vero sogno.” E cos’è, alla fine, la fede nei colori della propria squadra, se non un’attesa, più o meno lunga, che un’obiettivo (leggi sogno) si realizzi? Mi si chiede di parlare della stagione dell’Hellas e davvero, con tutta la buona volontà, non riesco a trovare nessun argomento che gli affezionati tifosi gialloblu non abbiano già vivisezionato in ogni minimo particolare durante questo campionato, così ricco di emozioni e, appunto, di attese. Il Verona ha fatto un buon campionato. Lasciamo da parte, per un attimo, la sensazione di occasione persa per un soffio che la classifica, nella sua fredda architettura di numeri, ci ricorderà a lungo, guardiamo invece a quelle che erano le attese dell’inizio (una salvezza tranquilla) e constatiamo che su un’ipotetica bilancia, dopo chissà quanto tempo, i momenti belli sono stati più “pesanti” di quelli brutti. Il problema adesso, è ancora una volta l’attesa. Il nostro sogno di vedere il Verona nella categoria che merita passa attraverso le incertezze che tutti conosciamo bene. Un settimo posto può essere letto come un’eccellente trampolino di lancio per il salto di categoria nel prossimo campionato, a patto che, come sostiene Ficcadenti, la società operi con coscienza non smantellando la squadra e innestando sullo zoccolo duro di quest’anno qualche giocatore di esperienza e qualche grintoso giovane di belle speranze. Tutto qui. Nulla di nuovo sotto il sole. E ancora l’attesa a farla da padrona, con tutto il suo fascino, fatto di imprevedibilità e di speranze ad oltranza. La differenza tra un tifoso e un osservatore esterno è proprio questa: il tifoso gialloblu aspetta, spera, si lacera, soffre, ma dentro di se ha sempre la certezza che, prima o poi, l’attesa finirà e la sua squadra gli darà le gioie che merita. Siamo certi che per l’Hellas ci sia un destino da compiere, e prima o poi ne saremo testimoni. Se per un attimo esco dai miei panni di tifoso, però, tutto mi fa pensare che l’attesa sarà ancora lunga, forse vana. Pastorello non ha i mezzi, e forse neppure la voglia o l’interesse, per cambiare la sua strategia direzionale. Poi torno nei panni del tifoso e inizio ancora a sperare, ad attendere. A questo punto voglio parlarvi di un’altra mia passione: la pesca. In particolare, la mia pesca preferita è quella notturna, tesa a catturare un pesce affascinante come l’anguilla. Tanto affascinante che anche il premio nobel Eugenio Montale vi dedicò una poesia, confondendo però la natura di questo pesce con quella dei salmoni, che ritornano in acqua dolce dopo essere cresciuti in mare. Al contrario le anguille nascono in mare, precisamente nel mar dei Sargassi, in pieno oceano atlantico. La corrente del golfo le porta poi sulle coste europee e quindi nei nostri fiumi e laghi, dove crescono fintanto che un giorno, la natura trasmette loro un messaggio in codice e inizia il viaggio a ritroso verso il mar dei Sargassi. Non sono ubriaco: c’è un nesso tra l’anguilla e l’Hellas, abbiate pazienza e lo svelerò. La pesca notturna all’anguilla è una delle più semplici: un piombo pesante che tenga ferma la lenza sul fondo e due ami innescati in dei bei vermoni da orto. Si posiziona la lenza e poi si mette un campanellino sulla punta della canna che ci avviserà dell’abboccata. E poi si aspetta. Attendere di notte lungo un argine è un’esperienza fantastica. Si odono rumori che alla luce del giorno non esistono e silenzi che mettono i brividi. Di notti così ne ho passate a centinaia, e il suono del campanellino è uno dei più belli che ho memorizzati nella mente. La stagione della pesca notturna inizia con la prima luna nuova di primavera, tra marzo e aprile, e continua fino a metà ottobre. Faccio ancora delle uscite, compatibilmente con i tanti impegni, e tutto è sempre uguale: l’argine, i lenti giri di corrente del fiume, i rumori e i silenzi della notte, e quel campanellino sulla punta. L’unica cosa che manca, ormai da parecchi anni, sono le anguille. Non risalgono più fino alle nostre zone. Prenderne un paio a stagione è già un successo. Chi me lo fa fare allora? Non lo so. Dentro di me, nonostante la razionalità mi dica che è una serata buttata, ho sempre la speranza che quel campanello suoni. Mi sono pure comprato una canna nuova e ben sapendo che l’attesa sarà vana, raggiungo il fiume fiducioso e, a modo mio, felice. Ecco, credo che la fede nell’Hellas sia più o meno la stessa cosa: una fiducia incrollabile, un’attesa continua che il sogno si avveri di nuovo. Ecco la bellezza dell’attesa, il suo fascino, la linfa vitale che ci fa andare avanti e sperare, contro tutto e tutti, contro la realtà stessa, contro i pronostici, la matematica e la razionalità. L’attesa è una di quelle imperfezioni che ci distinguono dalle bestie e dai robot. La perfezione la lasciamo volentieri agli pseudo-tifosi delle squadre a strisce verticali. Teniamoci stretti i nostri sogni e la nostra fede. Pastorello: cosa aspetti a far trillare il campanellino? |
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