parte 5 - Verona, quale futuro? |
di Massimo
Alcuni mesi fa ho preso parte, tra il pubblico, ad una conferenza nella quale partecipavano alcuni giornalisti sportivi (di quelli che vediamo anche alla DS), professori universitari, dirigenti di società di calcio lombarde di C1 e C2, amici degli amici. L’argomento riguardava i bilanci delle società di calcio e i rischi di gestione. A parte qualche tabella e grafico che ovviamente non ho riportato, ho recuperato gli appunti presi nell’occasione, perché alcune problematiche possono essere ricondotte anche al nostro Verona. Salto pari passo lo studio concernente le società di serie A (purtroppo…), ecco quello che è uscito fuori per la B e la C. Numeri alla mano, i docenti universitari sono arrivati alla conclusione che, nella serie cadetta, la crescita delle entrate derivanti dai diritti televisivi è aumentata di più rispetto a quella degli ingaggi dei giocatori. Anche il calo di affluenza del pubblico, penalizzato prima dal dirottamento al sabato pomeriggio delle partite e poi dalla chiusura degli stadi per introdurre le note misure di sicurezza, è stata scaricata sui giocatori. Se è vero che tutte le società hanno ancora in pancia contratti pluriennali piuttosto onerosi (come quello di Italiano per il Verona), il tetto salariale tende ad un sostanziale appiattimento. Di conseguenza, ci sono due possibilità: o ridiscutere con il proprio calciatore gli emolumenti, proponendogli in cambio un prolungamento contrattuale; o metterlo sul mercato. Questi, da parte sua, sa che corre il rischio di firmare comunque per il nuovo club a condizioni peggiorative, per cui spesso si accorda. La linea è comune e diffusa. L’unica speranza che ha pertanto è quella di salire di categoria, mantenendo in tal modo i privilegi in essere. Come Italiano, appunto. Di massima quindi, questo comportamento tendente al morigerato appartiene a tutti i Presidenti di serie B. Solo quelli che hanno pressioni dalla piazza o hanno appena acquisito la società rompono il mercato con offerte aggressive. Difatti è frequente notare nelle loro rose giocatori che, fino all’anno precedente, giocavano in serie A o all’estero. Quest’anno, ad esempio, abbiamo assistito alla lotta sproporzionata per la promozione tra 3 corazzate nettamente più ricche e un gruppo composto da 5/6 formazioni di pari livello. Alla fine, i 10 punti di differenza tra la 3a e la 4a sono stati spesati dalla qualità di partenza e dagli investimenti fatti durante il mercato e sono stati finanziati da televisioni, sponsor e pubblico. Chi retrocede in B, oggi, ha sicuramente una penalizzazione in termini di entrate e visibilità, ma se riesce a scaricare sui contratti in essere le condizioni peggiorative della nuova categoria non ci rimette più di tanto. Il trucco sta nel cambiare il più possibile la rosa acquistando dalla B e dalla C, evitando in questo modo di sostenere all’interno una linea troppo rigida e creare conflittualità tra i giocatori. Viceversa, sperare nell’orgoglio ferito dei calciatori appena retrocessi per poter tornare immediatamente in A in genere non paga. E qui è stato fatto l’esempio negativo del Bologna che ha confermato per 2 stagioni consecutive il blocco della A, in confronto con quello positivo dell’Atalanta che, dopo ogni saliscendi, ha aggiunto nuovi giovani provenienti dal settore giovanile a uomini di categoria. Questo ha creato per gli orobici un cambio generazionale e tecnico naturale in grado di fargli sostenere senza troppi rischi la lotta per tornare in A e rimanerci con credibilità. L’adeguamento alle nuove condizioni gestionali c’è stato da parte di tutti, e non si è verificata quella moria che paventava a suo tempo la buonanima di Pastorello. Oggi, Messina, Ascoli e Chievo stanno affrontando in maniera reattiva la retrocessione. Mentre noi la subimmo totalmente. Se è vero che nel frattempo abbiamo assistito a qualche fallimento importante (Torino, Perugia, Salernitana), possiamo concludere sul fatto che il sistema ha sostanzialmente tenuto. Dove invece non ha retto è nel passaggio tra la B e la C e nella permanenza in serie C. Qui l’emorragia è costante e preoccupante, anche a dispetto della nobiltà delle piazze e del bacino di tifosi. In effetti, non essendoci più entrate dai diritti televisivi e con la rescissione (o revisione a ribasso) dei contratti di sponsorizzazione per perdita di immagine, i debiti fino a quel momento sostenuti dai Presidenti non possono essere più assorbiti. Anche l’affluenza di pubblico non rimargina le ferite gestionali, visto che il costo del biglietto e dell’abbonamento devono adeguarsi allo spettacolo inferiore. Negli ultimi tempi, tra l’altro, l’ingaggio dei migliori talenti della categoria sta crescendo in maniera verticale sia per la competizione attiva delle società di B che per la necessità di salvaguardare i propri bilanci cedendoli al più alto prezzo possibile. In qualche occasione, i giovani della C costano più dei sudamericani. Ecco perché la categoria si è difesa alle difficoltà gestionali con una linea piuttosto rigida in tema di tetti salariali e di disputa delle partite alla domenica pomeriggio. In sintesi, tre sono le valvole di salvezza per una società appena retrocessa in C:
Il punto cruciale è proprio questo: stante la presenza attiva della tifoseria gialloblu, che non cesserà certo di dare il proprio contributo anche in serie C, il Conte Arvedi verrà comunque chiamato ad affrontare nuove spese e nuovi investimenti. Un punto di partenza è quello di collocare meglio possibile sul mercato i giocatori più appetibili (Pulzetti, Ferrarese, Iunco, Sibilano, Gervasoni), dopo aver incassato il massimo dalle comproprietà (Guarente, Munari, Papa Waigo). Solo dopo è possibile iniziare la fase di ricostruzione. Lasciano il tempo che trovano le “sparate” di Cannella di confermare il blocco (perdente) della B con 4 innesti. Allo stato, non abbiamo: 1 portiere, tutto il centrocampo, un attacco convincente. Una squadra che è retrocessa con giocatori che si chiamano Pegolo, Sibilano, Biasi, Turati, Italiano, Pulzetti, Ferrante, Aka, Guarente, Mazzola ha problemi di natura caratteriale più che tecnica. E’ per questo motivo che va rifondata completamente nella personalità del gruppo, più che nel valore dei singoli. Fintanto che penseremo di disputare il prossimo torneo con la testa di B, non otterremo risultati facili e scontati: ricordo infatti che ci sarà 1 sola promozione diretta e 1 a seguito dei playoff; ogni anno verifichiamo la presenza di avversarie blasonate (Venezia, Monza, la Cremonese di Mondonico e il Padova di Ezio Rossi) che hanno esperienza della categoria, a cui si aggiungono formazioni sbarazzine che pescano il jolly (Grosseto quest’anno, Frosinone l’anno scorso) per merito di una gestione attenta. Noi dobbiamo pensare da squadra di C che si deve rifondare a 360 gradi: a partire dalla dirigenza – ma questa è una partita persa a priori con l’inopportuna conferma di Cannella -, al settore giovanile abbandonato da anni, a quello della prima squadra. Non è possibile fare la fine dell’Avellino che è troppo forte per la C e troppo debole per la B. Il Verona deve impostare un programma serio e sostenibile nel tempo e i nostri esempi devono essere il Rimini, il Mantova, lo Spezia stesso. Persino il Chievo di Sartori. Rischiare tutto e subito, senza avere basi solide, può andare bene per il Genoa che ha capitali da investire anche una volta risalito in B. Mentre se dobbiamo ripartire dalle macerie di Corte Pancaldo, forse è il caso che cominciamo con le fondamenta. Troppi anni di improvvisazione e politiche di breve termine ci hanno ridotto in queste condizioni penose. Proviamo allora ad imparare la lezione. |
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