parte 4 - C'è bisogno di normalità |
di Massimo
![]() L'ultima puntata del Dossier deve per forza proiettarsi verso ciò che riguarda “il là a venire”. Oramai, tutto quello che c'era da dire su questa pessima stagione è stato detto. Il recente passato diventa quindi occasione per affrontare con serenità e disincanto il nostro domani. Se esistesse un genio della lampada e mi consentisse di esprimere un desiderio sul Verona non cadrei nella tentazione del successo immediato. E' una trappola che non porta da nessuna parte. Certo, tutti i tifosi del mondo auspicano per la propria squadra promozioni, scudetti e coppe internazionali. Quelli gialloblu, in particolare, reduci da un decennio di delusioni sempre più cocenti avrebbero ancora più motivi per esigerlo. Io temo però che il genio capace di cambiare in corsa il nostro destino è anche quello che poi ci abbandona ad esso. Cosa significa ciò? Significa che, nelle condizioni in cui ci troviamo, una immediata promozione in serie B si poggerebbe su fondamenta troppo fragili e sarebbe difficilissima da difendere. All'euforia del successo immediato farebbero seguito la vertigine e l'inconsistenza. Il rischio più grosso che corre oggi il Verona è quello di fare la fine dell'Avellino – un anno in B e uno in C1 – oppure del Ravenna, della Cremonese o dello stesso Spezia (che ha resistito a stento 2 anni in B, e adesso corre il rischio di sparire). E chi sarebbe capace di sopportare tanto? Voi pensate che possa esistere, a questo mondo, uno studente capace di superare gli esami di maturità con il massimo dei voti dopo essere stato bocciato 2 volte ed essersi salvato in 4 occasioni all'ultima interrogazione? Può esistere un'azienda in declino (l'Hellas Verona è un'azienda in declino) frenata dai debiti, fornitrice di beni superati e guidata da manager stanchi e incapaci, in grado di conquistare nuove quote di mercato? Voi pensate forse che sia stato un caso il non essere riusciti a replicare in seguito la bella stagione 2004/2005? Un po' per colpa di Pastorello, che non voleva o poteva spendere altri soldi, un po' per colpa dei limiti di Ficcadenti, quell'anno è stato un'eccezione irripetibile. Alla fine, persino negativo per i tifosi perché ingannevole e illusorio verso eventualità che di fatto non esistono assolutamente. Il Verona di Pastorello e Arvedi non poteva essere quello, è questo. Prima di risalire dobbiamo essere capaci di frenare la caduta continua e imparare ad arrampicarci un passo alla volta. Rimbalzando all'insù saremo destinati a precipitare nuovamente perché non abbiamo appigli su cui sorreggerci. Ecco, oggi lo sforzo più grande al quale deve tendere la società è quello di seguire una crescita sostenibile. I nostri modelli devono diventare il Pisa, il Frosinone, il Siena, il Rimini, lo stesso Chievo tutte realtà guidate da persone preparate, pazienti, consapevoli. Proprio per questo motivo, al mio genio chiederei una forma di ricchezza che a noi manca da troppo tempo: il ritorno alla normalità. Non mi fido più delle promesse, capirai se mi attraggono i successi che non posso mantenere. Infondo, anche quest'anno il Verona era pieno di giocatori e allenatori famosi, superpagati e pieni di esperienza. Ad agosto, molti parlavano (a vanvera) di promozione immediata, di “squadra da battere”; a gennaio, altri di “un progetto che in 3 anni ci avrebbe portato a lottare per la serie A”. Nessuno di loro, alla fine, è riuscito a calibrare il proprio potenziale alle esigenze del campionato. A forza di pensare al futuro, hanno trascurato completamente il presente. Tanto che ci sono voluti l'entusiasmo del mister della Berretti e il buon senso di un vecchio marpione per chiudere alla pari una stagione schizofrenica. Ma cosa significa “tornare alla normalità”? Innanzitutto realizzare un Verona in grado di gestire la propria salvezza per tempo e senza stress. Un Verona che investa nei giovani. Una squadra che pratichi un calcio spettacolare, in grado cioè di riconciliare i tifosi al gioco del pallone. Da quanto tempo non succede tutto ciò? Oramai i tifosi si divertono esclusivamente perché vanno allo stadio e non certo perché vanno a vedere l'Hellas: la festa è quando organizzano le trasferte, quando si incontrano sugli spalti e iniziano a cantare e urlare insieme. L'aspetto ludico e aggregante è - e si limita anche - nella partecipazione collettiva, visto che quella agonistica genera solo povertà di valori e sofferenza. Che senso ha allora illuderci di nuove ambizioni (legate solo al blasone e all'intensità del tifo, non certo ad elementi oggettivi) se ogni anno non riusciamo ad andare oltre ad una sofferta salvezza? Può esistere un futuro migliore senza aver lavorato con metodo e serietà sul presente? Nei giorni scorsi, un giornalista dell'Arena si chiedeva se la proprietà gialloblu avesse in mente una qualche forma di ridimensionamento oppure si preparava ad intraprendere un progetto serio. Questo dubbio non dovrebbe porselo chi segue da anni il Verona: noi siamo già in costante e progressivo ridimensionamento. Non sono solo i risultati sportivi a dimostrarlo, ma anche l'incapacità cronica di scegliere i giocatori necessari prendendo solo quelli più cari, di affidare la squadra a un tecnico capace di portare a termine il proprio programma (Ficcadenti è stato il più longevo di tutti, ma è durando solo 2 stagioni e mezzo), trascurando da sempre il settore giovanile. La sterilità gialloblu è il simbolo più evidente del suo decadimento sportivo. Questo è molto più grave dell'esser finiti in C1. O meglio, ne è la conseguenza naturale, quella che porta inevitabilmente alla sua progressiva scomparsa. Come potrebbe Arvedi, alla sua terza stagione, concepire in questo momento un programma di rilancio? Oramai lui è urgenzato dall'età, dal rancore verso chi lo critica, dalla paura di non farcela, dai soldi che ha speso e che non riesce più a recuperare. Se voleva frenare il precipizio pastorelliano, doveva farlo a suo tempo affidandosi però agli uomini giusti. Doveva affrontare le scelte con minore presunzione e arroganza. Ora, può solo affidarsi alla sorte oppure a ciò che passa il convento. Il normalizzatore di turno è Previdi. Una persona piena di esperienza, lo so, ma con grossi vincoli operativi perché costretto a lavorare su una rosa totalmente priva di background (non abbiamo un giovane del vivaio in grado di ritagliarsi un ruolo da titolare nella squadra penultima in C1…) e con grossi limiti di tempo a sua disposizione (per colpa dell'età). Ecco perché è obbligato a riproporci l'ennesima rivoluzione di giocatori, affidarsi all'ennesima scommessa in panchina, sperare nell'ennesima quadratura del cerchio basandosi su teoremi che non trovano verifica. Troppo spesso ci dimentichiamo che una squadra di calcio è un essenza vitale che vive in un regime di concorrenza assoluta, si alimenta della forza interiore che esprime e si impoverisce a causa degli errori che commette. Non c'è niente di casuale nel declino gialloblu. Abbiamo perso completamente il significato originale delle cose: cosa vuol dire guidare un'azienda che gioca a pallone e che dovrebbe creare valore sportivo. Abbiamo perso tutto ciò che per gli altri è invece naturale e quindi normale. Solo un genio della lampada, a questo punto, può restituirci dignità sportiva. Peccato che Shahrazad raccontava queste storie solo per restare viva. |
![]() ![]() |
Hellastory è ottimizzato per una risoluzione dello schermo di 800x600 pixel.
Per una corretta visione si consiglia l'uso del browser Microsoft Internet Explorer versione 5 o successiva con Javascript, Popup e Cookies abilitati.
Ogni contenuto è liberamente riproducibile con l'obbligo di citare la fonte.
Per qualunque informazione contattateci.
Leggi la nostra Informativa Privacy. [] |