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parte 5 - QUANDO IL VERONA VA IN SCENA
di Massimo

sipario

Quelli di Grock è un piccolo teatro e anche una compagnia teatrale. 30 o 40 poltroncine di velluto rosso, i posti rimanenti sono a terra o in panchine di legno; gli attori si muovono a ridosso del pubblico e non c'è alcuna barriera o separazione tra palcoscenico e platea. Ecco perché vieni immediatamente scagliato dentro la rappresentazione: ridi, piangi e urli seguendo esattamente il filo del copione e alla fine, esausto, ti alzi commosso e vai a stringere la mano degli attori davanti a te. Soprattutto, fai i complimenti alle attrici… Il foyer è poi uno spettacolo nello spettacolo. Non solo perché raccoglie pezzi di arredo non più in uso (in particolare sedie e costumi) ma anche perché le pareti sono tappezzate da locandine, foto e disegni fatti dagli attori stessi. L'ultimo varco, prima di entrare in scena (da attore o spettatore, non cambia) riporta alcune frasi di Ionesco scritte a mano con inchiostro a china ingiallito dallo sfondo di legno oppure dal tempo. Non so. L'ultima recita: "Il mondo è così: grottesco, assurdo, ridicolo e terrificante"

Anche Woody Allen ha scritto qualcosa del genere e non ho mai capito se la ripetizione sia stata una forma di riappropriazione o più semplicemente di condivisione, con il conseguente bisogno divulgativo. Quello che rimane è il fatto che due personaggi di epoche e culture diverse finiscono per avere la stessa sensibilità.

Il campionato del Verona, quest'anno, è stato esattamente così: grottesco (per come è stato gestito), assurdo (per come ha perso la promozione), ridicolo (per come si sono ricoperti giocatori, mister, dirigenti e proprietà) e terrificante (per quello che si sono ritrovati ad avere in mano alla fine tutti i tifosi).

Detto ciò, aggiungo solo un paio di considerazioni perché tutto il resto è già stato detto o scritto.

Mai come adesso, come tifoso, mi rendo conto che esiste una barriera invisibile ma insuperabile tra me e la mia squadra del cuore. Tra quello che vorrei fare per lei e quello che lei può ricevere da me.  Simbiosi emotive come quelle che accadono, ad esempio nel teatro Quelli di Grock, non sono ipotizzabili nel mondo del calcio, neppure all'oratorio. Da una parte ci sono i tifosi che sostengono, si arrabbiano, sperano, gioiscono, dall'altra ci sono i calciatori. Il contributo che può fornire il tifo alla squadra è praticamente nullo: il Porto, con un migliaio di tifosi al seguito, ha vinto il campionato in C; il Cesena, con una media spettatori estremamente contenuta, ha fatto meglio del Torino in B; il Chievo, senza pubblico, ottiene risultati migliori dell'Hellas. Se esistesse una relazione certa tra la passione dei sostenitori e la prestazione della squadra, noi saremmo invariabilmente nei piani alti della serie A. Oltre 11.000 abbonati e 14.000 presenze al Bentegodi da anni non sono in grado di risolvere problemi di natura tecnica, organizzativa e gestionale. Loro (giocatori e dirigenti) dicono di aver bisogno di noi, ma questo è semplicemente un alibi per nascondere proprie insicurezze e fragilità.

E' scandaloso essere costretti a giocare il quarto anno consecutivo in Lega Pro, con 2 presidenti diversi, dopo esserci affidati a 5 direttori sportivi e 5 allenatori. L'anno prossimo, cambierà tutto di nuovo. Già, ma cambierà realmente? Speriamo, la coppia Giannini e Gibellini sembra interessante. Ma non rifondevamo anche in Bonato, l'anno scorso di questi tempi, le medesime speranze? Il Verona sembra un moscone impazzito che sbatte costantemente il corpo contro un vetro che non comprende, perché confonde la luce con la via d'uscita. Manca un metodo di lavoro e un progetto. Manca l'attenzione reale verso i giovani e il settore giovanile, unica risorsa su cui puntare in un calcio sempre più in crisi (continuiamo a ripeterlo, ma nessuno ci ascolta). Manca la disperazione e il bisogno urgente di portare a casa risultati. I tifosi sono da una parte, il Verona va da un'altra.

Se è vero ciò, se noi dipendiamo esclusivamente dalla capacità dei dirigenti gialloblu di portare giocatori validi e degli allenatori di farli rendere al meglio, la storia centenaria del Verona lascia poche speranze. Ci sono limiti e ambiti ben definiti entro i quali non riusciamo a scostarci. L'Hellas di Chiampan padre e Mondadori che ha applaudito mio nonno era una mediocre squadra di B, che ha giocato un paio di stagioni in C a causa della guerra e ha avuto solo un anno di gloria in A. Ma questo è, poco più poco meno, lo stesso Verona che sono stati abituati a vedere i nostri ragazzi oggi. L'anomalia, semmai, la vivono i quarantenni che hanno applaudito lo scudetto e Bagnoli, e i cinquantenni che hanno conosciuto ancora prima l'epoca di Garonzi. Per loro (per noi), accettare un Verona in C è umiliante perché hanno (abbiamo) un confronto da fare. Per tutti gli altri, il periodo straordinario che va dagli anni 70 agli anni 90 è solo un'eccezione, perché la regola è un'altra. Il racconto di qualcun altro.

Certo, nessuno di noi ha consegnato il proprio cuore all'Hellas perché è bravo a vincere a ripetizione, altrimenti ci saremmo rivolti a club più bravi, ricchi, opportunisti. Il Verona è una passione, non certo un'ambizione. Nonostante tutto, ogni anno ci riproviamo facendo affiorare, in tutta la sua potenza, il conflitto interiore che ci porta a sperare una condizione migliore e a renderci conto invece che ci manca sempre qualcosa per raggiungerla.

Nel desiderio (frustrato) di emergere, rivedo la rassegnazione di Ionesco e Allen. Come uscirne?

L'unica via d'uscita è quella di ripeterci all'infinito la lezione: ragazzi, continuiamo a farci sorprendere dal grottesco, accettando ogni assurdità, non prendendola troppo seriamente in quanto ridicola e ammettendo sempre la tragedia come parte integrante di noi stessi. Restiamo sempre noi stessi, nonostante l'oppressione del passato e l'impotenza del presente. La salvezza è in quello che conserviamo immutato dentro di noi, non in quello che vediamo rappresentato. E' l'opera in sè, non l'abilità degli attori.

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