All'ombra dei camini del Power Plant di Okpai, piccolo villaggio nel Delta State della Nigeria, la ferita della retrocessione è più pulita. Non è infettata dalle inutile dichiarazioni di allenatore, dirigenti e giocatori. Qui non arrivano le interviste di Telenuovo e Telearena, ma solo le immagini di Rai Italia. Quanto basta per vedere le partite del Verona nei turni di anticipi e posticipi, oppure in occasione delle partite domenicali con le «grandi». Quanto basta, insomma, per vedere le sconfitte di Genova e San Siro, mentre pietosamente non mi è stato concesso di vedere la Spal vincere al Bentegodi, a quasi 60 anni esatti dal primo e ultimo successo, nella stagione di esordio del Verona nella massima serie.
Il calcio, a Okpai, è soprattutto la partitella della domenica pomeriggio, quando il cantiere si concede l'unica mezza giornata di riposo settimanale, e chi non ha troppo timore di sfidare la calura e soprattutto l'umidità oltre il 90%, si raduna sul piazzale per due calci al pallone. La foto racconta di fisici improbabili e decisamente fuori forma, di fiato corto, ma anche di sorrisi e voglia di divertirsi dietro a un pallone. Ovvero il calcio come gioco, così come è nato e così come sarebbe ancora, a volerci credere.
Capita sempre più di rado di sentire i calciatori che dichiarano di essere fortunati perché fanno di lavoro quello che per gli altri è solo una passione: il gioco del calcio. Attenzione: so bene che fare il calciatore professionista non è questione di fortuna, ma soprattutto di abnegazione, sacrifici e volontà. Detto questo, dopo una stagione in cui il Verona ha segnato pochissimo, e quelle poche volte ci è pure toccato di vedere esultanze rabbiose e polemiche anzichè un sorriso, il pensiero che corre spesso alla mente è quello della dignità. Quella che ad esempio nella gara di Benevento non è minimamente pervenuta.
Cosa abbiamo ancora da chiedere a questo indegno campionato? Abbiamo demolito anche i record negativi di 2 stagioni orsono. I numeri parlano da sè: 25 sconfitte su 36 gare, e 25 punti all'attivo. Due anni fa alla fine i punti furono 28. Per non fare di peggio ci restano solo le gare con la derelitta Udinese, reduce da 1 punto in 13 gare, e con la Juventus a Torino. Difficile non credere che saremo in grado di resuscitare pure l'Udinese in cerca di punti salvezza.
Cosa abbiamo ancora da chiedere? Dignità? Secondo me è concetto troppo elevato al termine di una stagione come questa, vissuta per mesi sulla pura illusione che «tanto la salvezza è solo a 4-5 punti».
Cosa chiedere? Attaccamento alla maglia? Questi giocatori non ne conoscono il significato. E non è nemmeno tutta colpa loro. Arriviamo da decenni di oblio dei nostri simboli, della nostra storia, persino dei nostri colori sacrificati alle logiche degli sponsor tecnici. Il nostro presidente crede che ci chiamiamo Hellas perché nel 1903 c'era l'Erasmus. Non sorprendiamoci se questi giocatori dopo aver incassato il 75mo gol stagionale hanno ancora l'ardire di giocare di fino con il tacco.
A questo punto non oso chiedere nulla. Tuttavia resto convinto che i calciatori sì, un poco fortunati lo siano a fare questo mestiere, e quindi non chiedo ma pretendo che almeno rispettino il lavoro che fanno. Né più né meno come tanta altra gente che fa un lavoro molto più anonimo e poi alla domenica si ritrova al Bentegodi a tifare o, in mancanza del Bentegodi sito a 6.000 km di distanza, si raduna all'ombra di una centrale nigeriana a tirare due pedate al solito vecchio, ma dignitoso, pallone.
Paolo