LA CURVA SUD E LE BRIGATE GIALLOBLU | |||||||
LE BRIGATE GIALLOBLU E LA CURVA SUD DAL 1971 AL 1982 - Seconda parte
I veronesi diventano presto famosi per i cori, sia per la compattezza con cui la curva li scandisce, sia per la loro originalità tutta scaligera nel proporre i “testi”. Le canzoni prodotte dalla curva sono davvero tante, difficile farne un censimento completo, quel che è certo è che, mentre le altre tifoserie si cimentano con brevi slogan scopiazzati l’uno dall’altro, le BG si distinguono nel proporre vere e proprie canzoni, anche in dialetto, seguendo arie popolari. Mitici, in tal senso, i due testi che seguono:
Accanto ai cori storici, alcuni dei quali vengono ancora proposti dalla curva sud, i “cantanti” delle BG hanno una capacità innata di creare canzoni sul momento, basandosi su un particolare della gara, su qualche giocatore, su qualche avvenimento etc. Un’altra particolarità del tifo veronese in chiave “sonora”, sono i cori atti a denigrare l’avversario, sia nel senso di tifoso che in quello di squadra o singolo giocatore. Questa proponsione, ancora in embrione negli anni ’70, raggiungerà l’apice nel decennio successivo. La propensione a “farsi sentire”, ad esprimere l’appoggio alla squadra tramite la voce, è di chiara importazione inglese, del resto, uno dei vanti delle BG è sempre stato quello di ispirarsi, come stile e mentalità, ai colleghi d’oltremanica. I rapporti tra la gioventù veronese e la perfida Albione, meritano quindi qualche riga. Negli anni ’60 Verona fu ribattezzata la “Liverpool d’Italia”. Non c’era il porto, non c’era il retroterra industriale, non c’era nemmeno uno squadrone come quello dei “reds”, ma in città e provincia nascevano come funghi gruppi musicali (bands) che si ispiravano ai Beatles, agli Who, ai Cream, ai Kinks etc. non solo come “suoni” ma anche come abbigliamento e, nei limiti del possibile, anche nello stile di vita. L’egemonia culturale giovanile inglese aveva contagiato tutto il nostro paese, ma Verona ne fu colpita in modo particolare, e la “swinging London” divenne una delle mete più sognate dai giovani veronesi. Considerando che nello stile di vita dei coetanei inglesi, la frequentazione degli stadi era già una realtà all’inizio degli anni ’70, si intuisce facilmente come l’osmosi con i “turisti” veronesi abbia prodotto effetti anche sul tifo delle BG. Nel 1976 alcuni esponenti delle BG stringono un gemellaggio storico con una curva inglese: quella del Chelsea, squadra conosciuta più per le intemperanze del proprio pubblico che per i meriti sportivi. Sulla scorta di questa amicizia, in curva iniziano ad apparire le sciarpe della squadra londinese e una enorme “union jack” (la bandiera del Regno Unito) comincia a sventolare assieme a quelle gialloblu.
La curva sud si distingue anche per le coreografie che culminano nel momento in cui le squadre si dispongono in campo. Dalla curva si alzano i cori, ritmati dai tamburi, mentre bandiere gialloblu di ogni dimensione si muovono tutte assieme accompagnate dal lancio di grossi coriandoli, da fumogeni colorati e dallo scoppio di petardi e raudi di grosso calibro: si tratta di una coreografia classica degli anni ’70 ma la fantasia veronese ha saputo nel tempo evolversi e cambiare costantemente. Solitamente, quando il resto delle tifoserie si era adeguato alla curva veronese, imitandola, le BG erano già oltre, pronte a proporre qualcosa di nuovo. Sull’onda del Verona di Garonzi, provinciale di lusso che si toglie spesso e volentieri lo sfizio di sgambettare le grandi, il Bentegodi diventa di fatto “il giocatore in più” e buona parte delle fortune dell’Hellas si consuma tra le mure amiche. Il giocatore simbolo degli anni ’70 è Gianfranco Zigoni. Talento naturale, autore di grandi assist e grandi gol, ma soprattutto personaggio estroso, egocentrico, con uno spiccato gusto per lo spettacolo. “Zigogol” è il giocatore che ha la possibilità di cambiare il volto di una partita, l’ultimo santo a cui votarsi quando le cose vanno male. Il suo mito, a Verona, continua a vivere, anche tra coloro che negli anni ’70 non erano ancora nati. Curva aperta si diceva in precedenza, aperta anche ai tifosi avversari quindi. Sembra impossibile che all’epoca le tifoserie non fossero divise, ma era proprio così, anzi: il Bentegodi fu il primo stadio in Italia, fin dalla metà degli anni ’70, a disporre le tifoserie ospiti nella curva opposta, a meno che non ci fossero buoni rapporti con le BG. I tafferugli iniziarono molto presto: dapprima risse, scazzottate, poi si cominciarono ad usare le aste delle bandiere e in curva iniziò ad entrare anche chi, con il pretesto della partita e la relativa libertà di agire in un gruppo, sfogava semplicemente la propria aggressività. Degli scontri con i bolognesi nel 1973 si è già detto. Sempre nel 1973, il famoso 20 maggio, le BG si fanno un nuovo nemico. In un Bentegodi pronto a festeggiare la scudetto della stella milanista, dove solo nella parte centrale della curva qualche stendardo gialloblu rompe il muro rossonero, Zigoni & C. umiliano il Milan. Inizia una rivalità storica tra le due tifoserie, destinata a raggiungere l’apice negli anni ’80. Di stampo prettamente campanilista (aggravata in seguito anche dalla matrice politica) è invece la rivalità con i vicentini. Quando il “derby” si gioca a Vicenza (perché gli ultrà vicentini non arrivano mai in massa a Verona), la partita diventa particolarmente a rischio e si registrano incidenti praticamente ad ogni incontro. Gli anni ’70 sono però anche il periodo più florido per i gemellaggi. Oltre a quello già citato, internazionale, con i colleghi londinesi del Chelsea, le BG stringono altre amicizie, alcune delle quali dopo essersele date di santa ragione! È il caso di quelle con Sampdoria e, soprattutto, Fiorentina (le uniche di quel periodo ancora vive e vegete), ma anche con i granata del Torino e con i giallorossi della Roma i rapporti sono ottimi (con i romani l’idillio non durerà comunque molto). La coesione e la grandezza, in termine numerici, della tifoseria veronese è tale da permettere, più di una volta, di occupare interamente la curva della tifoseria ospitante! Non si tratta solo di risse: in più occasioni, nei dintorni del Bentegodi, vengono trovate bottiglie molotov, spranghe, catene, pugni di ferro. Nella partita contro la Juventus del marzo 1977, sulla pista di atletica dello stadio veronese viene rinvenuta addirittura una bomba a mano! Probabilmente, l’attrezzo bellico è stato lanciato proprio dalla curva sud e, solo per una fortunata coincidenza, la seconda “sicura” ha tenuto impedendo l’esplosione. Il rischio di andare alla partita e trovarsi al centro di tafferugli rischiando anche di finire in ospedale, si fa sempre più concreto; ma d’altra parte, il fascino della curva è qualcosa di irresistibile e sono sempre di più i giovani che si lasciano trascinare, così com’è successo a “Ciccio”: “Ci sono 3 date storiche nella mia vita: il mio compleanno, quello di mia figlia e il 30 gennaio 1977, quando sono entrato per la prima volta al Bentegodi. Ricordo quella domenica minuto per minuto e posso dire, senza ombra di dubbio, che quel giorno cambiò la mia vita. Avevo 15 anni e frequentavo la seconda classe di un istituto tecnico a Verona ma vivevo in un piccolo paese della bassa. Tutte le mattine prendevo il treno alla stazione di Nogara per recarmi a scuola in città e lo presi anche quella domenica: dovevo fare una full-immersion di calcolo compustico con Lucio, il mio compagno di banco, in vista del compito in classe del lunedì mattina. Sarei stato suo ospite a pranzo, a cena e avrei pure passato la notte da lui. Lucio abitava a Santa Lucia e mi venne a prendere alla stazione con il suo vespino verso le 9 di mattina. “Sei arrivato prima tu dei genoani” mi disse mentre cercavo di farmi posto nella parte posteriore del sellino. Non avevo proprio idea di chi fossero i genoani, e non mi passò neanche per la mente che il termine potesse avere qualcosa a che fare con la città di Genova e con il calcio. Lucio con i numeri era un mostro e, in effetti, passammo il resto della mattinata a studiare. Sul programma pomeridiano invece, non mi aveva ancora detto nulla, lo fece sua madre che, mentre portava in tavola una quantità esagerata di bolliti annegati nella pearà, disse: “Allora oggi andate alla partita? Com’è messo il Verona, ci salviamo anche quest’anno o no?” Il mio rapporto con il calcio era molto semplice: qualche tiro nel campetto parrocchiale il sabato pomeriggio e ignoranza pressochè assoluta in fatto di squadre, giocatori e così via. Lucio non mi aveva detto che voleva andare alla partita e io non ne avevo proprio nessuna voglia. Tra l’altro non capivo cosa volesse dire “salvarsi” applicato ad una squadra di calcio. Me lo spiegò bene Lucio, dopo il caffè, e devo dire che la sua descrizione di un calcio fatto di “grandi” che lottano per il titolo e di “provinciali” che lottano per la salvezza, un po’ mi appassionò, soprattutto quando mi raccontò dello sgambetto al Milan, nel ’73. Ma a convincermi del tutto sul fatto di andare alla partita, furono i gadget di Lucio: sciarpa e berretta a righette gialle e blu, confezionate dalla madre, e la bandiera, anch’essa artigianale, formata semplicemente da due drappi gialloblu cuciti insieme. Per sostenerla Lucio usava un pezzo di canna da pesca telescopica. Dietro il sellino della vespa Lucio aveva approntato un perfetto portabandiera e così partimmo alla volta del Bentegodi, con il bandierone che faceva oscillare lo scooter e che quando si frenava ti arrivava in faccia chiudendoti la visuale. Ci fermammo ad un bar dove un'altra decina di ragazzi, con vespette e ciao bordati di gialloblu stava muovendosi verso la stadio. Mi stavo proprio divertendo e quando uscimmo fuori da un sottopasso della ferrovia e mi trovai davanti (ancora in lontananza ma in tutta la sua maestosità) il Bentegodi, fui avvolto da un brivido. Lo stadio all’epoca era piuttosto isolato rispetto alla città, non c’erano ancora il palazzetto dello sport, i parcheggi e la tangenziale, in pratica, dietro la curva nord, c’era la campagna. E noi arrivammo al Bentegodi proprio dalla campagna, percorrendo una stradina sterrata.
Ci fermammo in un bar, poco distanti dallo stadio, sul viale che portava alla stazione. Lucio ed altri due ragazzi entrarono per acquistare i biglietti (non ho mai capito perché li avessimo presi lì e non al bigoncio). Prima di entrare mi affidò la bandiera sincerandosi che avrei fatto buona guardia: “Guai se qualche genoano tenta di fregartela: difendila a costo di sanguinare!” Ma chi cazzo erano ‘sti genoani? E poi mi misi a ridere: difendere la bandiera con il sangue! I genoani li conobbi di lì a un minuto, forse meno. Ci accerchiarono in una ventina (noi eravamo in sei, nove se si contano Lucio e gli altri che erano dentro il bar) e in effetti la prima cosa che tentarono di fare fu proprio di impossessarsi della bandiera gridandoci “veronesi fascisti di merda”. Non mi resi conto immediatamente di cosa stava succedendo ma strinsi la mano attorno all’asta della bandiera ben deciso a non mollarla mettendomi a gridare: “Lucio!!! Lucio!!!” Mi arrivarono due schiaffoni e un pesante calcio in culo ma la bandiera non la mollavo di certo. Ma cosa volevano questi genoani da me? E poi perché mi davano del fascista? Probabilmente avevano sbagliato persona, ma non era il caso di tentare di spiegarglielo: mi dispiaceva davvero, perché ero un tipo pacifico, ma al secondo calcio in culo cominciai a roteare l’asta della bandiera gridando in perfetto dialetto della bassa: “adeso iè cazzi vostri! Ci ciapo ciapo!” Ma cazzo, continuavano ad arrivare genoani e noi eravamo davvero pochi. Non avevo tempo di avere paura ma la situazione si faceva difficile. E meno male che avevo la bandiera, perché i miei “colleghi” si potevano difendere solo con le mani. Ma perché tutto ‘sto casino per la bandiera di Lucio? Temevo il peggio. Mi sgambettarono e caddi prima addosso al vespino che si rovesciò a terra, poi sul marciapiede dove fui raggiunto da qualche calcio alle gambe. Poi arrivarono i nostri. Dal bar uscirono in 6-7 e da una via laterale, un gruppetto con la sciarpa gialloblu legata in vita corse subito lì. Non ci fu bisogno di nessuno scontro ulteriore perché i genoani si misero a correre verso lo stadio. La bandiera era in salvo ma il vespino di Lucio non ne era uscito molto bene. Il mio amico però era più incazzato per essersi perso il corpo a corpo con i genoani. Io ero davvero scosso, e se prima non avevo avuto paura, adesso mi stavo cagando addosso: mi ero sporcato i jeans, il giubbotto, mi faceva male una gamba e la scarica di adrenalina mi lasciava adesso tremante. Volevo tornare a casa ma nessuno mi ascoltava. Ci avvicinammo al Bentegodi insieme al gruppetto che era intervenuto in nostro aiuto. Uno di questi tifosi (che ho incontrato per anni in curva senza sapere mai come si chiamasse davvero) mi mise il braccio attorno alle spalle, intuendo che ero un neofita, e mi disse queste testuali parole: “Non cercare spiegazioni: è assurdo picchiarsi per una partita di calcio. Ne più ne meno di quanto sia assurdo giustificare le tante guerre che ci sono nel mondo. È così e basta. Non sentirti in colpa: ti sei solo difeso”. Ma non eravamo venuti per una partita di calcio?
Prima ancora di salire le scale della curva sud fui investito da un urlo assordante: “Genoa, Genoa: vaffanculo!” La potenza del coro era davvero impressionante. Entrammo in curva dall’entrata più defilata verso sinistra. Per la prima volta nella mia vita entravo in uno stadio. Rimasi senza parole: il campo, la pista di atletica, il formicolio sulle tribune e, soprattutto, la marea umana intorno a me che scandiva la marcia trionfale dell’Aida: “Alè, forza Verona alè…” Ci posizionammo in alto, un po’ defilati a sinistra rispetto al centro della curva. Ero ancora scosso dalla rissa con i genoani, ma mi stavo riprendendo e, soprattutto, divertendo. Imparai velocemente 3-4 cori e cominciai anch’io a cantare. Poi le squadre entrarono in campo e la curva si trasformò in una via di Rio durante il carnevale: bandiere, trombe, tamburi e un muro di voci all’unisono. La partita fu fantastica. I miei sensi erano sballottati continuamente tra quello che succedeva in campo e quello che succedeva intorno. Il Genoa si portò sul 2-0 e dalla curva opposta arrivavano sempre più fitti gli sfottò. Intorno a me molti scuotevano la testa: come si faceva a recuperare un tale svantaggio? Però tutti continuavano a cantare. Il Verona fece il miracolo e a pochi minuti dalla fine, dopo aver pareggiato, segnò anche il gol della vittoria! Vincemmo 3-2 e alla fine anche gli altri settori dello stadio accompagnarono le Brigate nei cori, applaudendo a lungo quegli 11 eroi. Per la prima volta nella mia vita mi era reso conto di appartenere a qualcosa più grande di me, mi ero reso conto di essere veronese prima ancora che tifoso del Verona. Un sentimento di patriottismo mi si insinuò dentro e, nel bene e nel male, da allora sono sempre stato onorato di essere veronese e la maglia gialloblu è il simbolo della mie radici. Sulle Bg è stato detto molto, spesso parlando a vanvera o facalizzando solo alcuni aspetti, io posso dire che in curva ho stretto amicizie che mi porterò dietro per sempre e che la stragrande maggioranza dei frequentatori della sud erano ragazzi come me, non certo teppisti o delinquenti. C’erano anche quelli, è vero, ma erano davvero una minoranza. Ho assistito a circa 300 partite al Bentegodi e ho fatto una cinquantina di trasferte, fino a quando non ho avuto una famiglia a cui badare. Adesso vado allo stadio raramente e mi posiziono nella gradinata superiore, vicino al gruppo del 1° febbraio. Naturalmente ci vado ancora con Lucio.” Sono anni bui per la città e la provincia, non solo per le intemperanze di alcuni pseudo-tifosi: Verona diventa uno dei crocevia europei della droga e conta decine di vittime. Le BG prendono le distanze dai “teppisti” che si infiltrano in curva sud ma i disordini continuano. Va detto comunque che Verona non è certo un’eccezione: la violenza negli stadi esplode in tutto il suo fragore e nel 1979, durante il derby Lazio-Roma, si registra la prima vittima: un tifoso laziale colpito da un razzo. Con il campionato 1978-’79 finisce l’era Garonzi e il Verona torna in B. Il primo torneo nella serie cadetta, preceduto da una campagna acquisti che non promette un campionato di vertice, vede il Bentegodi svuotarsi, curva compresa. Solo lo zoccolo duro rimane a sostenere una squadra che rischia addirittura la retrocessione in C. Il discorso non cambia nemmeno nel campionato seguente e la curva si spopola sempre di più (il campionato 1980-81 registra il minimo storico di abbonati: 2900). Non si tratta solo di risultati: è venuto il momento, fisiologico, di un cambio generazionale.
Nella stagione 1981-’82 dopo 2 anni di purgatorio, la nuova dirigenza (che vede al vertice Guidotti e Chiampan) riesce ad allestire una squadra competitiva affidandola ad Osvaldo Bagnoli. Il Verona non parte benissimo ma nel girone di ritorno inserisce la marcia giusta e vince il campionato. Sulla scia dei risultati della squadra, la curva si rianima riempiendosi di giovani e giovanissimi. Si tratta di una rinascita vera e propria. Ricominciano le trasferte oceaniche (almeno 5.000 veronesi invadono Rimini nell’82) e, purtroppo, anche gli scontri con le tifoserie avversarie. Inizia il ciclo del Verona straordinario di Bagnoli e la curva sud si prepara a varcare i confini nazionali. Sono passati più di dieci anni dalla fondazione delle BG e la realtà del calcio è cambiata radicalmente, così come sono cambiate le curve. La nuova generazione di brigatisti è figlia di questi cambiamenti ed ogni giudizio sul decennio 1982-1991 deve essere dato in quest’ottica. Di sicuro c’è che la curva sud non perde assolutamente il suo ruolo di primo piano come fattore di aggregazione per i giovani della città e della provincia. |
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