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HELLAS VERONA / Assolo

LE MIE CARTE DA GIOCO

Durante le scuole medie, a Roma, io ero particolarmente invidioso di un mio compagno di classe, Claudio Mignelli, autentico campione nel gioco del calcio. Essere in squadra con lui, significava avere un notevole vantaggio rispetto agli avversari. Poco importava che Claudio non andasse molto bene a scuola, di lui mi piaceva lo stile spaccone e autoritario e le sue capacità agonistiche. Un giorno, finimmo per litigare per chissà quale motivo, ma doveva essere davvero serio se rischiai che i suoi pugni si abbattessero su di me. Dopo qualche ora, esausti e senza essere venuti a capo di niente, Claudio mi urlò: «Io ti odio. Perché sei bravo a scuola!» Io, senza perdere tempo, gli risposi: «Anch’io ti odio. Perché giochi bene a pallone!». Da allora, ci frequentammo almeno un pomeriggio alla settimana. Alla fine dell’anno scolastico, Claudio fu promosso con la media del sei e mezzo e io divenni il portiere (di riserva) della scuola.

A 12 anni, è chiaro, non sappiamo riconoscere se sia più importante saper giocare bene a pallone o essere uno studente modello. Ma col passare del tempo, neppure.

Il problema è che ciascuno di noi vive quotidianamente il disagio del suo confronto con gli altri. E’ un confronto talvolta penoso e talvolta marginale. Ma certo, delle persone che frequentiamo, ci interessa molto spesso riconoscere quello che esse hanno in più di noi (la villa al mare, i soldi, la promozione, il loro successo professionale o culturale, l’auto) rispetto al contrario. Anzi, per sua natura, l’uomo tende a svalutarsi nel giudizio di se stesso nei riguardi degli altri. Persino la vanità e la superbia appaiono come misere forme di autodifesa e di autocommiserazione, se vogliamo forme alternative alla gelosia e all’invidia.

Questo è un modo di vivere sbagliato perché trae la sua origine dal confronto. E’ come se tutti partissimo dalla stessa posizione e dovessimo arrivare al medesimo traguardo finale: chi arriva per primo è il migliore. Ma il mio traguardo personale, era diverso da quello del mio amico Claudio. E così entrambi finivamo con l’essere invariabilmente sconfitti e insoddisfatti di noi stessi.

L’idea secondo la quale siamo tutti uguali è profondamente sbagliata. A ciascuno di noi vengono offerte carte di gioco differenti e con esse molteplici opportunità. Confrontarle con quelle dei miei amici e conoscenti è un esercizio assolutamente inutile perché io gioco la mia partita con me stesso e non con gli altri.

Quante volte abbiamo letto nei libri i disagi e le debolezze dei grandi sovrani e dei grandi condottieri? O delle persone dello spettacolo che sono sempre al centro dell’attenzione. Eppure questi sembrano più fortunati di noi. Appunto, sembrano.

Il vero confronto, semmai, va riconosciuto fra quello che io ho e che gli altri non possono avere: la mia fortuna e il mio successo; non la mia mancanza e il mio ritardo. Solo quando riesco a rendermi conto di questo, riesco ad essere in pace con me stesso e posso sinceramente aiutare chi ha bisogno di me. Lo diceva anche san Francesco, ma non importa.

Tanto è vero che c’è voluta una litigata durata alcune ore per farmi ammettere che io volevo imparare a giocare a pallone bene come il mio compagno di classe. E che lui, al contrario, si sentiva a disagio nei confronti della mia capacità di concentrazione e di esposizione.

Rispettando le nostre carte da gioco, rispettiamo noi stessi e riconosciamo il nostro ruolo in mezzo agli altri. Viceversa continuando a essere insoddisfatti di noi, saremo sempre limitati dai nostri stupidi condizionamenti. E così facendo, non saremo utili né a noi stessi né a chi ha veramente bisogno delle nostre (per noi scontate) qualità.

Massimo

Hellastory, 19/10/2004
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LA STRATEGIA DI PRESIDIO E UN MERCATO FATTO DI PRESTITI


Povero Verona ... Prima la fragilità (tecnica e mentale) dimostrata all'Olimpico che conferma che anche quest'anno dovremo soffrire. Poi i rifiuti di mercato (Baldanzi, Richardson, Faivre) che, per motivi diversi, hanno tutti snobbato il Verona. Verona è una piazza poco appetibile o offre troppo poco? Comunque sia, per i tifosi del Verona ogni stagione è un continuo succedersi di momenti di passione con alternati picchi depressivi (molti) ed esaltati (pochi): si parte in estate con l'allestimento di una squadra decente in grado di salvarsi e si finisce con il riscontro sul campo. Il problema è che questo stress si risolve sempre solo negli ultimi giorni di trattativa e nelle ultime partite di campionato. Se questa è una situazione alla quale non finiremo mai ad abituarci, anche vedendo come si muovono nel frattempo le nostre avversarie dirette, credo che debbano essere rivisti i criteri che guidano le linee guida societarie e delle quali subiamo ansiogene conseguenze. Il Verona fa di un vanto la propria gestione oculata in termini di ingaggi e contenimento di costi. Corretto. Aggiungo che l'autofinanziamento nel mercato (compro sulla base di quanto riesco a vendere) è una regola quasi decennale introdotta da Setti che aveva un capitale limitato e anzi sosteneva se stesso con il risultato economico positivo della società. L'alternativa è prendere a prestito, magari con l'opzione del riscatto. Il Verona ha una struttura fragile e non può permettersi di sbagliare mercato, per questo punta su giocatori potenzialmente interessanti, magari provenienti da stagioni sfortunate. Spendere 10 milioni per un potenziale talento che poi o si infortuna o non riesce ad esprimersi sarebbe deleterio per il bilancio. Riuscire invece a strappare un'opzione ad una cifra prefissata aiuta la gestione societaria nel valutare l'opportunità di un successivo riscatto. Un buon esempio è stato il Cagliari che quest'estate ha riscattato Piccoli, Gaetano e Caprile spendendo subito 26 milioni e successivamente ha ceduto Piccoli alla Fiorentina per 25 ripagandosi di fatto l'intera operazione con il vantaggio di aver acquisito 2 giocatori (per loro) importanti.

[continua]

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