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La Prima Squadra

Per Gobbi l'opportunità di aggregarsi alla prima squadra arriva nell'estate del 1970: rientrato da Bolzano, viene convocato per il ritiro di Bagno di Romagna, dove fa parte delle cinque "giovani speranze gialloblu". Oltre a lui ci sono Fausto Nosè, Franco Bergamaschi, Sergio Rossetti e il portiere Giuseppe Berteotti.

Giovani gialloblu a Bagno di Romagna nell'estate 1970
Giovani gialloblu a Bagno di Romagna nell'estate 1970: Dino Gobbi, Fausto Nosè, Cesarino Perazzani, Franco Bergamaschi, Giuseppe Berteotti e Sergio Rossetti.

L'Arena presenta così Dino Gobbi in un servizio durante il ritiro:

"...è nato a Verona (in realtà è nato a Cerea, nda) il 2 novembre 1949. Prelevato dall'Audace nel 1966-67 è stato per due anni lo stopper della Primavera campione d'Italia per squadre di serie B, assieme a Pastorello, Fratton, Pasetto, Stoppa, Antonini, Giacomi, Bertucco e Marcolongo. Militare in prestito al Bolzano ha disputato tutte le partite risultando alla fine tra i più continuativi, il migliore in senso assoluto. Non ha potuto far parte della Rappresentativa Veneta per impegni militari. Torna al Verona con la ferma volontà di poter un giorno o l'altro rendersi utile alla propria squadra. Forte nei contrasti e di testa dovrebbe essere il futuro Batistoni."

Era così difficile entrare in pianta stabile in prima squadra?

"Il salto dalle giovanili alla prima squadra in quegli anni non era affatto facile e dipendeva molto anche dalla sensibilità dei diversi allenatori e dall'interesse che avevano nei confronti dei giovani. Liedholm ad esempio era uno che aveva una grande attenzione per il settore giovanile, e spesso lo si poteva vedere al campo dove si allenava la Primavera, oltre a presenziare a tutte le partite della De Martino al mercoledì. Gli allenamenti con Liedholm erano in pratica solo con il pallone, faceva lavorare moltissimo sugli schemi e sulla tecnica di base. Ricordo che fece comprare dei palloni di gomma arancioni della Pirelli, per insegnare il controllo di palla. Poi c'era ovviamente il ruolo della società: spesso si preferiva comprare elementi giovani da altre squadre piuttosto che dare spazio a quelli formati nel vivaio. Emblematico è l'esempio di Giacomi: quando venne dato in prestito al Cerea, al suo posto fu preso Berteotti, portiere del Merano, (squadra di serie D, dove invece finì in cambio Fusaro, nda) che alla fine non riuscì ad imporsi nemmeno nella squadra riserve della De Martino."

Le tue esperienze con la De Martino?

"Ricordo ancora perfettamente l'esordio, contro la Spal: un incubo. Presi una "bambola" pazzesca marcando un attaccante molto più vecchio di me. La Spal, anziché far giocare le riserve, usava la De Martino per far giocare la partita infrasettimanale ai titolari. Comunque qualcosa di buono devo anche averlo combinato, perché fui riconfermato. Il problema principale era che nella De Martino non c'era come mister chi ci allenava durante la settimana: a volte c'era Tavellin, altre volte Pozzan. Era difficile pertanto avere un'organizzazione di gioco: si entrava in campo con l'unico suggerimento "Marca quello là". Ci si arrangiava, ma era un bel banco di prova perché capitava di affrontare i campioni di serie A."

L'esordio in serie A arriva a febbraio del 1971, giusto?

"Sì, esordio a Torino contro la Juventus. Una partita sfortunata: avremmo meritato il pareggio ma a poco dalla fine Capello segnò su punizione il gol del 2-1. La palla si infilò in barriera fra Nosè e Mazzanti ma anche Colombo nell'occasione non fu impeccabile."

Pozzan puntava sui giovani? Fu lui a lanciare Bergamaschi.

"A onor del vero, più che Pozzan, a lanciare Franco Bergamaschi fu Garonzi, che si impose sul mister. Pozzan non era molto innovatore nel fare esperimenti con i giovani. E' vero, con lui facemmo l'esordio sia io sia Fausto Nosè, ma la squadra era decimata da infortuni e squalifiche. Nella partitella della De Martino al mercoledì, prima della gara con la Juventus, venne testato Lucio Mujesan che rientrava da un infortunio, e si fece male di nuovo. Divenne inevitabile l'esordio di Nosè, mentre io partii dalla panchina e subentrai a D'Amato a poco dalla fine per cercare di tenere il pareggio. Purtroppo arrivò il gol del 2-1 di Capello."

E poi?

"Poi rientrammo nei ranghi della De Martino, e più niente per tutto il campionato, fino alla giornata conclusiva dove andammo a Cagliari. La salvezza matematica era arrivata alla giornata precedente, per cui ci aspettavamo che Pozzan desse spazio, se non a me, perlomeno a Nosè. Fausto Nosè era davvero un bel giocatore, che avrebbe potuto fare la serie A e, pur essendo di 2 anni più giovane di me, era molto maturo anche come atteggiamento in campo. Pozzan ci portò entrambi a Cagliari ma poi Nosè rimase in tribuna e io entrai solo ad inizio secondo tempo con la partita già compromessa. I titolari erano arrivati "logori" all'ultima partita e francamente sarebbe stato meglio inserire forze fresche. Ricordo che fu una partita davvero di fine stagione, e senza più stimoli perdemmo male 4-1. Una delusione."

Per Gobbi arriva quantomeno la soddisfazione delle gare internazionali di fine stagione: il Torneo Anglo - Italiano e la Coppa delle Alpi edizione 1971. Nell'Anglo – Italiano Gobbi colleziona due presenze, entrambe contro lo Stoke City, squadra in cui milita il portiere Gordon Banks, campione del mondo con l'Inghilterra nel 1966. A seguire, nel mese di giugno 1971, Gobbi gioca da titolare l'intera edizione della Coppa della Alpi nella quale il Verona affronta in gare di andata e ritorno il Basilea e il Losanna. In quel torneo trovano un po' di spazio anche Mario Giacomi e Fausto Nosè, e giocano qualche manciata di minuti Ezio Antonini e Migliorini.

Alla vigilia della gara con il Basilea del 12 giugno 1971, che terminerà 3-2 per il Verona, il tecnico Ugo Pozzan, in un'intervista per il quotidiano L'Arena, ha belle parole per Dino Gobbi: "Non escludo l'impiego, se non altro nella parte iniziale. Contro lo Stoke City il giovane difensore si è battuto al meglio delle sue potenzialità e sinceramente devo dire che la prova mi ha soddisfatto."

Nonostante le buone prestazioni nelle gare internazionali, quando arriva il momento delle strategie di mercato Garonzi decide di mandare il giovane Gobbi a farsi le ossa in serie C a Pisa. Con lui anche Fausto Nosè. "Nosè però si aggregò al Pisa solo a preparazione avanzata," ci dice Gobbi "mentre il mio trasferimento era già deciso da tempo."

Un passo indietro importante, dalla serie A alla serie C.

"In realtà quando accettai il trasferimento a Pisa ero convinto che la formazione toscana avrebbe giocato in serie B. Nel campionato 1970-71 il Pisa era in B e, nonostante non fosse messo benissimo in classifica, a due giornate dal termine aveva un punto di vantaggio sulla terzultima, il Taranto. Alla penultima giornata accadde l'irreparabile: il Pisa fu sconfitto 7-1 a Novara, e nonostante la vittoria dell'ultima giornata, arrivò a pari del Taranto e fu retrocesso per la peggiore differenza reti."

Una sconfitta per 7-1 con la salvezza in gioco sul filo delle reti fa quasi venire dei sospetti...

"E invece i giocatori del Pisa che furono miei compagni l'anno successivo mi raccontarono che fu semplicemente una partita incredibile. Il Novara tirava da 30 metri e infilava il pallone all'incrocio. Fatto sta che il Pisa si ritrovò in serie C ed io con loro."

Dopo un anno in prestito a Pisa, Dino Gobbi rientra al Verona e viene convocato per il ritiro in vista della stagione 1972-73. Ci sono diverse facce nuove, ma anche l'amico Mario Giacomi con cui ha condiviso tanti successi con la maglia della Primavera.

Gobbi rimane a Verona fino a ottobre, ma Cadè a quanto pare non sa che farsene.

La  rosa del Verona 1971-72 in ritiro ad Arco
La rosa del Verona 1971-72 in ritiro ad Arco. Gobbi è il primo a destra in piedi, vicino a Mascalaito.

Il rapporto con Cadè?

"Cadè non mi diede mai spazio, e questo potevo anche capirlo visto che nel ruolo di marcatore c'erano in rosa Batistoni, Nanni, Bachlechner e Ranghino, tutti ottimi giocatori. Il problema è che mostrava di non avere alcun interesse nel crescere i giovani. Quando giocavamo le amichevoli mi diceva semplicemente "Vai, entra", mentre avrei apprezzato se mi avesse dato indicazioni e consigli su come giocare. La cosa mi sembra strana ancora oggi, dato che Cadè aveva lavorato valorizzando i giovani specialmente a Mantova. Per me è sempre stato fondamentale sentire la fiducia dell'allenatore: magari non per tutti è così, ma io riuscivo ad esprimermi veramente bene in campo solo se sapevo che il mister era dalla mia parte. E con Cadè questo non avvenne mai."

Com'era quel Verona?

"C'erano giocatori di valore, e sicuramente personalità molto spiccate e diverse fra loro. Mascalaito ad esempio era una persona di una serietà eccezionale, aveva molta personalità e si vedeva già che avrebbe potuto fare l'allenatore. Uno invece a cui non ci ispiravamo noi ragazzi giovani era Zigoni. Era supportato da un talento indiscutibile, ma era anche difficilmente gestibile per il mister. Non era raro che si presentasse agli allenamenti in ritardo. Però ogni squadra vive anche di queste situazioni."


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L'inizio del terribile calendario di febbraio offre un paio di impressioni a caldo: 1) che il Verona è vivo e combatte, 2) che però è stato indebolito in attacco dal mercato di gennaio perché giocatori come Ngonge e Djiuric non sono facili da sostituire. A bocce ferme, quindi con maggior consapevolezza, possiamo invece realizzare che nel corso di gennaio abbiamo assistito a 3 eventi importanti, 2 dei quali francamente inusuali. In primo luogo, l'importante cessione di talento finalizzata a sistemare i conti societari. In secondo luogo, una serie di operazioni di mercato volte essenzialmente a lasciar andare quei giocatori che non si sentivano più parte del progetto. In terzo luogo, la bocciatura del sequestro delle azioni del Verona in sede di appello. Se però i primi due li abbiamo metabolizzati dal punto di vista affettivo oltre che tecnico costringendo i tifosi ad affidarsi completamente alla bontà del lavoro di Sogliano e Baroni e alla speranza che i nostri avversari non si siano adeguatamente rinforzati nel frattempo, il terzo apre a scenari che non riusciamo a valutare nella sua complessità.

[continua]

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