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SETTI PRIGIONIERO DI SE STESSO


SETTI PRIGIONIERO DI SE STESSO

Tutto come prima, ma peggio di prima. Il Verona ha valutato che la scelta Grosso è ancora la migliore possibile. Questo lascia sconcertati i tifosi gialloblu che vedono polverizzarsi le speranze di riprendere la corsa della classifica con una squadra allo sbando a seguito di un'involuzione tanto preoccupante quanto senza sbocchi. Il problema di fondo è che, nella valutazione societaria, non esistono alternative a Grosso. Quali sono allora i lacci che imbrigliano la libertà di scelta di Setti? Innanzitutto quella di aver affidato baracca e burattini a D'Amico che ha voluto in estate (e difeso con argomentazioni francamente imbarazzanti) il suo vecchio amico in panchina. Ma chi è questo D'Amico? che esperienza ha? perché affidarsi a lui per un così complesso progetto di rilancio? Esonerare il mister significa inevitabilmente sfiduciare Setti, il suo direttore sportivo e il valore di gran parte della rosa (blocco Bari e Perugia) assemblata per rendere più agevole l'aggregazione. Qui non si tratta quindi solo di cambiare un allenatore, si tratta di mettere in discussione l'intero progetto che prevede: 1) contenimento dei costi dirigenziali (D'Amico), 2) ringiovanimento della rosa, 3) ruolo decisionale accentrato nel presidente. Nel Verona attuale manca infatti un direttore generale (sulla cui necessità si era espresso favorevolmente persino Fusco) che sia la sintesi tra la componente societaria, quella tecnica e la comunicazione (media, terzi e tifosi) e di un direttore sportivo autorevole nei rapporti tra allenatore e spogliatoio (la gestione del caso Pazzini su tutti). In più, abbiamo una rosa lunga, piena di giovani ma anche di giocatori che non riescono a dare il loro reale contributo perché impiegati male. Non si tratta quindi di valutare un cambiamento in panchina nell'ambito di una struttura dirigenziale consolidata ed affidabile, ma di ammettere che gran parte delle scelte fatte finora sono errate. Setti ha già dimostrato di non essere un decisionista (certi errori del passato non si dimenticano), e non ha neppure interlocutori terzi e di spessore che lo possano consigliare. E' rimasto solo col suo progetto, prigioniero di se stesso.

La paura più grande che abbiamo noi tifosi in questo momento è quella di trovarci di fronte ad una squadra che, per l'ennesima volta, non sia in grado di affrontare le difficoltà del campionato. Per colpa di scelte sbagliate e di un presidente che non sa trasmettere quello di cui c'è assolutamente bisogno. Lo spirito con cui vedo giocare i gialloblu oggi è lo stesso remissivo e confuso degli ultimi campionati giocati senza lottare.

A tal proposito, c'è un punto che mi pare piuttosto chiaro e che dovrebbe allarmare il presidente. L'assurda difesa ad oltranza di Pecchia, l'anno scorso, era basata su un elemento oggettivo (squadra scarsa e società senza soldi) e uno soggettivo (il gruppo, nonostante tutto, seguiva il mister). Per compiacenza, aggiungo io, non certo per mettersi in discussione. Del resto, metà rosa era in prestito e metà era composta da giovani e giocatori in scadenza contrattuale. Oggi però il Verona è completamente rinnovato, ha acquistato e investito. Volente o nolente oggi c'è un indirizzo. La brutta sconfitta di Brescia, che aveva tutti i significati per essere la partita del riscatto, è testimonianza di un distacco totale tra la squadra e il tecnico. Il quale, senza alcuna logica, contro la Cremonese ha schierato il ragazzino Tupta al centro dell'attacco lasciando in panchina Pazzini e Di Carmine contemporaneamente (un tempo per uno no? troppo complicato?), rischiando in questo modo di bruciarlo; poi ha cambiato completamente modulo, li ha schierati per la prima volta insieme sbilanciando la squadra in una trasferta particolarmente difficile. Se avete notato durante l'intervista, il mister è apparso piuttosto frastornato e continuava a non rendersi conto del perché di una prestazione simile. Si è sentito lui stesso abbandonato dalla squadra.

Il problema è a monte. Grosso, lo abbiamo capito, uniforma i giocatori e li sottomette al modulo che ha in testa in un turnover continuo ed indiscriminato. Non distingue la qualità che ha a disposizione e non riesce ad impiegarla al meglio. Adatta tutti al suo pensiero. Per lui un giocatore vale l'altro. Sono soldatini. Tra l'altro, non riesce neppure a prendere le contromisure necessarie per blindare la difesa. Se pensiamo che a metà novembre non ha ancora trovato l'assetto di centrocampo e l'attacco titolare, ci chiediamo veramente se il gruppo è in grado di seguirlo?

Per quello che si vede poi, Grosso non appare neppure un gran motivatore. I gialloblu, quando sono in campo, esprimono ciò che lui richiede. Ecco perché cercano di addormentare il gioco, non aggrediscono mai, non ci mettono il cuore. Quando l'aspetto tattico ha il sopravvento su quello caratteriale e tecnico non puoi aspettarti prestazioni differenti, caro mister. Del resto, se per te Tupta vale Pazzini, Gustafson vale Zaccagni, Dawidowicz è un centrocampista di riferimento e Laribi sa giocare solo sulla fascia ti stupisci di come si comporta poi in campo la tua squadra?

Come finirà? Facile. Palermo e Benevento, prossimi avversari, hanno altre competenze in tribuna e altra qualità in panchina. Il Verona è destinato a galleggiare con risultati funzionali agli algoritmi che Grosso riuscirà in qualche modo a trasmettere. Oramai i tecnici migliori se li sono già presi, chi resta (Cosmi) può al massimo raddrizzare in primavera il risultato minimo. Setti ha prontamente spostato il progetto a medio termine. Nel frattempo deve chiedere a se stesso se è realmente quell'imprenditore capace di ottenere risultati anche nel calcio oppure mettersi a disparte e avere l'umiltà di affidarsi a collaboratori capaci. Nel frattempo, il cielo sopra Verona è grigio. Umido e sgradevole.

Massimo

Colonna sonora: No ordinary love, Sade



Hellastory, 14/11/2018
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MASTER OF NONE


L'inizio del terribile calendario di febbraio offre un paio di impressioni a caldo: 1) che il Verona è vivo e combatte, 2) che però è stato indebolito in attacco dal mercato di gennaio perché giocatori come Ngonge e Djiuric non sono facili da sostituire. A bocce ferme, quindi con maggior consapevolezza, possiamo invece realizzare che nel corso di gennaio abbiamo assistito a 3 eventi importanti, 2 dei quali francamente inusuali. In primo luogo, l'importante cessione di talento finalizzata a sistemare i conti societari. In secondo luogo, una serie di operazioni di mercato volte essenzialmente a lasciar andare quei giocatori che non si sentivano più parte del progetto. In terzo luogo, la bocciatura del sequestro delle azioni del Verona in sede di appello. Se però i primi due li abbiamo metabolizzati dal punto di vista affettivo oltre che tecnico costringendo i tifosi ad affidarsi completamente alla bontà del lavoro di Sogliano e Baroni e alla speranza che i nostri avversari non si siano adeguatamente rinforzati nel frattempo, il terzo apre a scenari che non riusciamo a valutare nella sua complessità.

[continua]

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