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A RAVENNA, DI NUOVO IN GIOCO «
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IL CALCIO DI OGGI  
LE PARTITE CONTRO IL VERONA  
 

A Ravenna, di nuovo in gioco

Mantova come scelta di vita. Come mai allora hai finito la carriera al Ravenna?
Perché riuscì a convincermi l’unica persona che avrei seguito ovunque: Dino Binacchi, che era stato mio allenatore nel Mantova nel 1983-84. Mi chiese di seguirlo a Ravenna, in Interregionale (ora serie D, ndr). Mi propose di fare il vice allenatore e il secondo portiere. Binacchi mi lasciava tornare a casa fino al mercoledì, Ravenna non era poi troppo distante da casa, e lui era un grande motivatore, era difficile dirgli di no: accettai.

Non mi pare che andò proprio così a Ravenna … veramente il secondo portiere?
Quell’estate organizzammo una serie di amichevoli con squadre della Jugoslavia e facemmo ottime partite anche contro avversarie di rango superiore. Poco prima dell’inizio del campionato, Binacchi mi invita a cena. “Sergio, secondo te perché ti voglio parlare? Ti sei accorto di una cosa?” “Di cosa?” “Abbiamo giocato 10 amichevoli e tu non hai preso neanche un gol. Non posso farti fare il secondo”. Aveva ragione lui, come sempre. Giocai tutto il campionato, e fu una cavalcata esaltante: il Ravenna fu promosso in serie C. L’anno prima, allo stadio di Ravenna, mi dissero che c’erano al massimo 1.000 persone; in quel campionato arrivammo a portarne anche 7/8.000 a vedere le partite.

C’era anche un ragazzino promettente in quel Ravenna…
Una sera Binacchi porta al campo di allenamento un ragazzino di diciotto anni: “Vedrai se questo non è forte”. Pronti via, e questo semina lo scompiglio nella difesa e mi fa 2 gol. Era Marco Nappi. Quell’anno divenne capocannoniere del Ravenna. Binacchi è in assoluto il miglior allenatore con cui ho lavorato: un tipo alla Zeman. Andava a cercarsi i giocatori adatti al modulo che aveva in mente, a lui piaceva giocare con 2 attaccanti, uno di peso e uno veloce e agile, e una mezzapunta alle loro spalle. Quella fu davvero una stagione trionfale, e arrivammo anche a giocarci la semifinale di Coppa Italia Dilettanti a Posillipo. Un inferno: i tifosi avversari ci assediarono negli spogliatoi e, quando uscimmo verso il campo, c’era gente che picchiava contro le cancellate che ci separavano dal pubblico con dei proiettili in mano. Io ne avevo viste di tutti i colori e sapevo che era solo scena per impressionarci, ma i ragazzi più giovani si impaurirono davvero. C’era qualcuno dei miei che piangeva dalla tensione, io invece pensavo “Ma è possibile che a 40 anni mi tocca di vedere ancora queste sceneggiate?”. Probabilmente fu lì che decisi definitivamente di smettere perché non avevo più lo spirito per accettare queste cose.


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L'inizio del terribile calendario di febbraio offre un paio di impressioni a caldo: 1) che il Verona è vivo e combatte, 2) che però è stato indebolito in attacco dal mercato di gennaio perché giocatori come Ngonge e Djiuric non sono facili da sostituire. A bocce ferme, quindi con maggior consapevolezza, possiamo invece realizzare che nel corso di gennaio abbiamo assistito a 3 eventi importanti, 2 dei quali francamente inusuali. In primo luogo, l'importante cessione di talento finalizzata a sistemare i conti societari. In secondo luogo, una serie di operazioni di mercato volte essenzialmente a lasciar andare quei giocatori che non si sentivano più parte del progetto. In terzo luogo, la bocciatura del sequestro delle azioni del Verona in sede di appello. Se però i primi due li abbiamo metabolizzati dal punto di vista affettivo oltre che tecnico costringendo i tifosi ad affidarsi completamente alla bontà del lavoro di Sogliano e Baroni e alla speranza che i nostri avversari non si siano adeguatamente rinforzati nel frattempo, il terzo apre a scenari che non riusciamo a valutare nella sua complessità.

[continua]

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