Speciale TATTICA e TECNICA
    TATTICA
  1. 140 ANNI DI BATTAGLIE
  2. IL METODO - prima parte
  3. IL METODO - seconda parte
  4. IL SISTEMA
  5. IL CATENACCIO
  6. LA ZONA E IL CALCIO TOTALE
  7. IL VERONA DI BAGNOLI
  8. LA ZONA MISTA: IL 4-4-2 e IL 4-3-3
  9. LA ZONA MISTA: IL 3-5-2 e IL 4-3-2-1
  10. IL CALCIO OGGI


  11. TECNICA
  12. LA SEDUTA DI ALLENAMENTO - prima parte
  13. LA SEDUTA DI ALLENAMENTO - seconda parte
  14. COME SI ALLENANO I RAGAZZI
  15. COME SI CALCIA IN PORTA
  16. ALLENARE I PORTIERI
  17. LA FASE DIFENSIVA E IL PREPARTITA


  18. IL RUOLO DELL'ALLENATORE

IL CATENACCIO (1932-1987)

Nel 1932, il tecnico austriaco del Servette Rappan elaborò una tattica capace di compensare sul terreno di gioco il modesto valore tecnico della propria squadra. Questa sistemazione, detta modulo VERROU o RIEGEL, prevedeva una maggiore copertura difensiva attraverso l’impiego di 4 giocatori bloccati dietro: ai 2 terzini se ne aggiungevano altri 2 ottenuti arretrando i mediani. Il centromediano metodista rimaneva il fulcro del gioco e veniva coadiuvato dalle 2 mezzali che retrocedevano di 20/30 metri. Rispetto al SISTEMA, questo modulo si dimostrò più semplice da applicare e anche più sicuro grazie alla superiorità numerica dei difensori (4) rispetto agli attaccanti avversari (3). Nella sua evoluzione italiana – avvenuta una quindicina di anni dopo - uno dei 4 difensori si separò dagli altri, posizionandosi alcuni metri dietro i compagni, “libero” da ogni compito specifico e pronto ad entrare in seconda battuta sull’attaccante avversario sfuggito alla marcatura.

Soldati in trincea

Il soldato-calciatore cambia così il modo di combattere la sua battaglia: non è più un guerriero medioevale che assale (METODO) o un composto legionario romano (SISTEMA), ma un fante che scava una trincea, si cala dentro e difende a costo della propria vita quella porzione di terreno. L’imperativo è: resistere, resistere, resistere. Qualcosa accadrà.

Il CATENACCIO ha rappresentato qualcosa di più di un semplice assetto tattico prudente: ha offerto una nuova opportunità alle squadre più deboli, ponendole sullo stesso piano dei club migliori sulla base del semplice risultato sportivo.

Anche se la mentalità utilitaristica che comportò ha fatto storcere il naso a molti esteti del calcio (cito il famoso “vergogna del catenaccio!”), ha avuto il grande merito di democratizzare il gioco, visto che o si vince perché si è in possesso di giocatori di classe superiore o perché si ha una predisposizione tattica efficace. Tanti successi italiani nelle competizioni internazionali, come quello greco degli ultimi europei, poggiano proprio sulla convinzione che un gruppo compatto e ben raccolto dietro può opporre una adeguata resistenza contro chiunque. Inoltre, sfruttando gli spazi concessi dagli avversari, può utilizzare l’arma del contropiede per conquistare successi insperati sulla carta.

LE CARATTERISTICHE. Ecco dunque la risposta italiana al SISTEMA di Chapman. Parte dai suoi stessi presupposti, ma segue percorsi differenti: per vincere conta esclusivamente quanti gol riesco a realizzare più del mio avversario e non quanto il mio gioco sia spettacolare. Sono la concretezza e la compattezza a farmi prevalere.

I motivi che hanno ispirato il CATENACCIO e hanno favorito la sua diffusione, sono dunque molto pratici. Ecco i punti sui quali si poggia:

  • La condizione atletica dei giocatori italiani (e mediterranei in genere) è carente rispetto a quella dei Paesi nordici o sudamericani, non solo per la loro tipica struttura corporea ma anche per la minore attitudine al sacrificio fisico.
  • Dal punto di vista tecnico, il grosso limite del SISTEMA e del modulo VERROU sta nel fatto di opporre davanti al portiere sempre uomo contro uomo. La nascita del libero invece consente non solo di avere un difensore in più svincolato da obblighi di marcatura, ma anche – nelle sue versioni più evolute - disponibile a impostare il gioco di rimessa. Talenti come Cera, Scirea, Baresi oppure i gialloblu Tricella, Savoia e Negrisolo (in ordine di bravura) sono stati prima di tutto grandi difensori e poi anche ottimi organizzatori della manovra. Non a caso, agli inizi della loro carriera erano tutti impiegati a centrocampo, arretrando in seguito per sfruttare il loro innato senso della posizione.
  • Gli altri difensori, e talvolta anche i mediani a centrocampo, mantengono costantemente una marcatura a uomo e l’utilizzo del fuorigioco è ridotto al minimo.
  • Per non sguarnire ulteriormente il centrocampo, viene eliminato un attaccante arretrando un giocatore sulla fascia. L’ala tornante, partendo dalla propria metà campo, si trasforma in mediano quando deve difendere e in attaccante quando si svolge il gioco di rimessa. La grande Inter di Herrera aveva 1 solo attaccante (Milani), 2 tornanti sulle corsie laterali (Jair a destra e Corso a sinistra), e una mezzala (Mazzola) che si trasformava in attaccante aggiunto quando serviva, partendo in progressione da metà campo. Per questo era una formazione molto difficile da affrontare.
  • Laddove esiste un solo tornante, è molto comune l’utilizzo di un terzino fluidificante che opera sul fronte opposto per controbilanciare il gioco sulle fasce. Naturalmente questo difensore spinge solo quando non è impegnato in compiti di marcatura e spesso viene designato a opporsi al tornante della squadra avversaria. Petrelli, Sirena, Franzot, De Agostini e Marangon sono stati i migliori gialloblu a recitare questo ruolo.
  • L’applicazione del CATENACCIO fa emergere anche insperate armi offensive. Non dal punto di vista quantitativo, ma da quello qualitativo. Infatti, con il contenimento della squadra raccolta nella propria metà campo, gli avversari sono costretti a sbilanciarsi e a rallentare il loro gioco a causa della mancanza di spazi. A questo punto, è sufficiente rubare palla e partire con perentori affondi in contropiede per metterli in difficoltà, visto che le difese vengono inevitabilmente sguarnite.
Il Catenaccio

I risultati positivi ottenuti dall’Inter di Foni e soprattutto da quella di Helenio Herrera, il Padova di Nereo Rocco, la Salernitana di Viani riuscirono a modificare in parte l’atteggiamento critico della stampa. Qualcuno finì persino per esaltare lo 0 a 0 come il risultato perfetto tra due squadre che non hanno commesso errori. Brera, grande sostenitore del modulo, commentava i successi nerazzurri con la celebre definizione “la squadra rimane bloccata sull’uomo in più in difesa. Vince prodigando il minimo sforzo”.

La Nazionale italiana di Spagna 1982

Il Calcio italiano deve molto al CATENACCIO, quanto meno per riconoscenza della conquista del suo terzo Mondiale, quello di Spagna 1982. Conti, Scirea e Tardelli hanno rappresentato la massima espressione di estro, senso tattico e duttilità che richiedeva Bearzot, e le vittorie inflitte in splendida successione ad Argentina (2 a 1), Brasile (3 a 2), Polonia (2 a 0) e Germania (3 a 1) ne sono la riprova.

Proprio nelle competizioni “dentro o fuori” questo modulo esalta il senso del collettivo e crea nella squadra quella percezione di insuperabilità che vince ogni paura dell’avversario e – soprattutto - di se stessi.

IL CATENACCIO A VERONA. Negli anni 60, si sviluppa la fantasia cromatica nel colore delle magliette del Verona: il colore giallo assume più spazio, la squadra alterna frequentemente la prima con la seconda divisa, vengono predisposte anche magliette a righe verticali prima piuttosto larghe, poi molto sottili. Tra l’altro, il Modena si affaccia in serie A. Per tutti questi motivi, i giornalisti sportivi cominciano a chiamare i nostri giocatori “giallo-blu”, invertendo il dosaggio originale dei colori e facendoci perdere ogni distinzione.

Eros Fassetta

Nell’estate del 1964, giunse a Verona un tecnico dotato di grande sensibilità tattica, Giancarlo Cadè, protagonista – in seguito - di importanti successi nelle panchine di Mantova, Torino e ancora Verona. L’atmosfera che trovò fu però deprimente: il presidente Albarelli, urgenzato da necessità economiche, minacciava di non iscrivere la squadra perché in contrasto con l’affitto salatissimo imposto dal comune per l’utilizzo del Bentegodi. Nel frattempo, aveva provveduto a cedere i giocatori più rappresentativi: Maioli (al Foggia), Cera (al Cagliari) e l’esperto Calloni (alla Reggiana). Di conseguenza, l’inizio di Campionato fu ricco di tensione e molto negativo per la squadra, indebolita in ogni reparto. Il tecnico prese le sue contromisure: chiamò Fassetta, il difensore più affidabile a sua disposizione e lo schierò alcuni metri dietro gli altri difensori (Di Bari, Cressoni e Cappellino); compattò il centrocampo utilizzando stabilmente 4 elementi (Scaratti, Joan, Savoia e Zeno) e i gialloblu riuscirono miracolosamente a salvarsi classificandosi al 14° posto. Questo è stato il primo esempio di CATENACCIO nella storia del Verona. La stagione si concluse con la temporanea apparizione al vertice della società da parte di Saverio Garonzi. Tra i due nacque una burrascosa e forte amicizia destinata a proseguire negli anni e che avrebbe fatto la fortuna di entrambi.

Renato Lucchi

In verità, tutta l’epoca Garonzi, è stata caratterizzata dall’utilizzo costante del modulo, ad eccezione della stagione della promozione in serie A, quando la squadra era guidata da Liedholm. D’altra parte, ci è voluto un grande senso pratico e tecnici di spessore per riuscire a disputare 10 stagioni in serie A su 12 e mezzo!

Distinguo 3 differenti approcci al CATENACCIO da parte del Verona: quello esasperato di Lucchi (1969/70 e 70/71), quello caratteriale di Cadè (1968/69, 1972/73 e 73/74) e infine quello più evoluto di Valcareggi (dal 1975 al 78).

La prima versione è stata caratterizzata dalla puntuale applicazione del gioco di rottura, con la difesa bloccata dietro e il centrocampo impostato a contenere più che a inventare. Le opportunità offensive poggiavano esclusivamente sull’estro del giovane Orazi e sulla capacità balistica del brasiliano Clerici (8 e 10 centri per lui nelle 2 stagioni). Lucchi annichilì la mentalità offensiva promossa gli anni prima da Liedholm e Cadè, puntando sempre e solo al risultato. Per questo fece cedere a Garonzi i giocatori più talentuosi (Maddè, Mazzanti, Sega e Savoia) rinunciando persino a Bui relegato spesso in panchina. Questo è infatti il Verona dei ruvidi Landini, Ferrari, Mascalaito e Ranghino piuttosto che di Mascetti e Bergamaschi. I tifosi veronesi non hanno mai gradito l’allenatore, troppo rinunciatario e difensivista nell’atteggiamento e le salvezze furono conquistate sempre con grande sofferenza. Nel 1971, fu addirittura esonerato e sostituito da Pozzan, ex responsabile tecnico del Settore Giovanile, uomo dotato di buon senso che riuscì a ricompattare l’ambiente e a portare a termine la stagione con un esito felice. Tanto da venire confermato l’anno successivo.

Il Verona 1968/69 Il Verona 1972/73

Molto diverso è stato l’atteggiamento tattico di Cadè, tornato a Verona quando la squadra era in serie A. Il tecnico bergamasco trasferì ai suoi giocatori entusiasmo, combattività e sfrontatezza. Le sue squadre sono entrate nella storia e nei ricordi dei tifosi almeno in due occasioni: prima quando ottenne la prima splendida salvezza (1968/69) utilizzando contemporaneamente ben 2 centravanti, le torri Bui e Traspedini (23 gol insieme). Poi lo ricordiamo per il Verona che il 20 maggio 1973 inflisse 5 gol a 3 al Milan all’ultima giornata, consegnando lo scudetto alla Juventus che aveva battuto a sua volta la Roma per 1 a 0 (Cuccureddu al 87’). Ricordiamo i protagonisti: Pizzaballa; Nanni, Sirena; Busatta, Batistoni, Mascalaito; Bergamaschi, Mascetti, Luppi, Mazzanti e Zigoni.

Infine, Valcareggi portò a Verona esperienza internazionale, buon senso e spessore. Ferruccio Valcareggi Vicecampione del mondo con la nazionale in Messico, abituato ad affrontare campioni come Pelè e Beckenbauer, esaltò le doti di Mascetti, Zigoni, Maddè, Franzot, Superchi e Negrisolo amplificando anche il valore collettivo. La squadra assunse una dimensione di prestigio nel Calcio italiano conquistando per la prima volta una finale di Coppa Italia (1975/76) persa contro il Napoli di Savoldi e sfiorando la qualificazione UEFA l’anno successivo.

Il CATENACCIO gialloblu si era evoluto ad un livello tale da rappresentare per i giocatori un’opzione da attuare quando lo richiedevano l’avversario o le situazioni; il fraseggio e il possesso di palla erano invece la condizione naturale per gestire la partita. Nonostante ciò, il mister schierava solo 2 attaccanti (Luppi o Bobo Gori e Zigoni) e all’ala tornante impiegava sempre un ex terzino (Fiaschi).

E ora, parola al mister.

Massimo

COME SI AFFRONTA IL CATENACCIO

Dire che è per me un piacere è ovviamente scontato e retorico. Ringrazio ovviamente l’amico Massimo per l’opportunità che ho di mettere la mia esperienza per arricchire il sito giallo-blu di una delle più importanti società d’Italia. E lo dico perché è vero, nessuna smanceria. Chi è Mauro Callegari?

Mauro Callegari nasce a Milano nel febbraio del 62 (mamma mia quanti anni sono passati). Gioca a calcio a discreti livelli sino a 18 anni in una delle squadre più blasonate di Milano: l’Aldini. Il ruolo? Beh portiere…discretamente bravo tra i pali…discretamente scarso fuori dalla porta (d’altronde se ero bravo in ogni cosa ero in nazionale). A 18 anni decido di passare dall’altra parte della barricata e divento arbitro. Attività che svolgo sino ai 30 arrivando alla L.N.D. ed arbitrando anche per due volte la Primavera dell’Hellas Verona nel campetto dell’antistadio e sempre contro il Genoa.

Dopo questo, spinto dalla passione per il calcio e dal figlio che nel frattempo ha iniziato a giocare, decido di diventare allenatore e frequento i vari corsi dedicati. Ora alleno la squadra Giovanissimi della Polisportiva di Nova, squadra al momento in testa al campionato. Ma dopo avervi tediato con la mia storia, vediamo di parlare di tattica.

Massimo mi ha chiesto: “Mauro devi incontrare una squadra votata completamente al catenaccio. Come giochi ?”.

Premesso che ovviamente si spera sempre di far adattare gli avversari al proprio modulo, giocare contro una squadra che fa del catenaccio la sua arma principale vuol dire incontrare una formazione molto chiusa. Difesa impostata a 3 se non addirittura a 4 uomini, con marcatura fissa a uomo ed un giocatore posizionato dietro a tutti a fare il libero. Quest’ultimo uomo, con ogni probabilità, è anche il più esperto e comunque, molto abile di testa, gran senso tattico e, probabilmente, dotato anche di buoni piedi per lanci veloci e precisi. In avanti una sola punta: se piccola è molto veloce, se alta ha una buona predisposizione a coprire la palla per far alzare la squadra. Sulle fasce due mediani molto bravi a difendere ed a diventare dei veri difensori aggiunti quando attaccati e molto veloci a partire in contropiede quando la squadra invece sviluppa il suo gioco offensivo. Sì perché una squadra in questa maniera fa del contropiede la sua arma d’attacco cercando di sfruttare le poche, se non l’unica, occasione da rete che possa presentarsi durante la partita.

Come affrontare una squadra così? Il mio obiettivo è quello di aprire il più possibile gli avversari. Se non ci riesco, sarà difficile batterli perché consento a loro di fare il gioco che gli riesce meglio.

Ecco dunque qualche consiglio.

  • Cominciamo con il dire che è inutile giocare in difesa con 3 o 4 difensori puri per contrastare un’unica punta. Due difensori ed un mediano davanti a loro sono più che sufficienti.
  • Le fasce sono invece il vero fulcro. Ho bisogno di due giocatori di fascia molto veloci e molto resistenti. Le sovrapposizioni sulle fasce sono quanto di più importante ci possa essere in questo caso. Ma devo anche stare attento che siano bravi a tornare a difendere quando gli avversari partono in contropiede.
  • In avanti una torre. Vista la loro completa dedizione al contropiede mi aspetto di trovare un’area sempre molto affollata. Questo vuol dire anche difficoltà per il portiere avversario nelle uscite, per questo devo avere un uomo in grado di colpire di testa in mezzo all’area.
  • Mancano gli ultimi due. Due mezze punte, molto tecniche e con piedi buoni. In alternativa, devo chiedere agli attaccanti di essere molto mobili, di allargarsi e portare via il loro avversario diretto. Le triangolazioni al limite dell’area devono essere molto veloci e profonde, cercando di non sfondare centralmente bensì sulla laterale. Avere troppi attaccanti può essere però controproducente perché il mio obiettivo principale è quello di creare varchi con il movimento senza offrire troppi punti di riferimento. Ne basterebbe uno: il centravanti che mi alza la squadra.
  • Un ultimo accorgimento. L’uomo d’avanti alla mia difesa deve partecipare, e molto anche. Dai suoi piedi devono partire le aperture sulle fasce e non deve solo pensare a contrastare.

Questa è, secondo il mio modesto parere, la soluzione più adatta per affrontare una squadra che gioca al classico catenaccio. Ovviamente dobbiamo vedere anche gli uomini che abbiamo a disposizione.

L’importante comunque è provarci e saper cambiare in corsa tattica e mentalità: questo è davvero fondamentale per essere vincenti.

Mauro

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