LA ZONA E IL CALCIO TOTALE | |
Le cose sono andate più o meno in questo modo. Nel 1925, Mr Chapman studiò a tavolino un modulo per contrapporsi al METODO e lo sperimentò nel suo Arsenal. Ma il SISTEMA funzionava bene solo nel Regno Unito e nei Paesi Scandinavi; occorreva pertanto elaborare un’applicazione pratica adattabile anche ai giocatori europei e sudamericani: nasce il CATENACCIO. Nel 1965, Michels studiò a tavolino un modulo per contrapporsi al CATENACCIO e il suo laboratorio furono l’Ajax prima e la nazionale olandese poi. Anche qui il CALCIO TOTALE funzionava solo in Olanda o con il suo inventore in panchina. L’idea andava comunque sfruttata, seppure arrangiandola alle caratteristiche degli altri giocatori: nascono in questo modo la ZONA PURA (versione più estrema) e la ZONA MISTA (più flessibile). Il cerchio si chiude qui. Il soldato che combatte a ZONA è un marine: un militare completo che ha perfezionato tutte le tecniche di combattimento, sa assalire e difendere una postazione, sa combattere corpo a corpo ed è anche un buon cecchino. Si muove da solo, al massimo in coppia, ma è consapevole del fatto che – intorno a lui – ci sono 10 commilitoni: ciascuno ha un obiettivo individuale, tutti hanno la medesima missione. IL CALCIO TOTALE Rinus Michels è stato l’inventore del calcio totale. Recentemente scomparso (2005), il “generale” - come era soprannominato - stabilì che i giocatori della sua squadra dovevano diventare il più possibile universali, capaci cioè di ricoprire vari ruoli. Da questo presupposto, i difensori tornavano a marcare a zona sfruttando al massimo la tattica del fuorigioco; i centrocampisti e gli attaccanti pressavano a tutto campo i portatori di palla avversari; ogni calciatore doveva saper attaccare e difendere la sua zona di competenza. La disposizione in campo che predilesse fuil 4-3-3. La nuova filosofia di copertura degli spazi si sostituisce al concetto di contrapposizione individuale, tipico del CATENACCIO. E’ stato detto che con questo modulo si vince poco. Sarà, ma Michels ha vinto con l’Ajax 4 campionati dal 1966 al 1970 e 3 coppe d’Olanda; poi ha conquistato una finale di Coppa Campioni nel 1969 battuto severamente dal Milan “catenacciaro” di Rocco e Rivera 4 a 1. Tuttavia l’anno successivo ci riuscirono i rivali storici del Feyenoord, sconfiggendo 2 a 1 il Celtic applicando il medesimo modulo e finalmente toccò all’Ajax alle spese del Panathinaikos 2 a 0 (1971). Dopo di lui, l’Ajax ha vinto in rapida successione altre 2 Coppe dei Campioni. Insomma, negli anni ’70, le squadre di club olandesi oltre a offrire spettacolo si sono imposte anche in Europa. Più difficile è stato raggiungere risultati analoghi a livello di nazionale. Nel Campionato del Mondo del 1974 in Germania, Michels – passato alla guida degli orange - massacrò l’Argentina (4-0) e il Brasile (2-0) ma fu fermato dai padroni di casa in finale per 2 a 1. Il tecnico, deluso, lasciò la nazionale per esportare in Spagna il suo modulo, attirato dai soldi che gli offriva il Barcellona. Chiamò con sè due tra i migliori esponenti del suo calcio, l’immenso Cruijff (vincitore dei Palloni d’Oro del 1971, 1973 e 1974, non so se mi spiego…) e il concreto Neeskens riuscendo immediatamente a strappare lo scudetto al Real Madrid. Occasione della sua rivincita internazionale sono stati i successivi Campionati del Mondo in Argentina, 4 anni dopo: l’Olanda conquistò nuovamente la finale ma cedette anche in questa occasione ai padroni di casa. Sembrava destino! Alla fine degli anni 80, dopo una fase di offuscamento, il generale fu nuovamente chiamato a guidare la panchina della nazionale per gli europei tedeschi: sarà la nuova generazione del calcio olandese, quella dei vari Van Basten (anche lui 3 volte Pallone d’Oro 1988,1989 e 1992), Gullit e Rijkaard a consegnargli la Coppa prestigiosa. Si vendicò dei padroni di casa battendoli in semifinale e abbatté in finale i temibili russi guidati dal portiere Dasaev e dall’attaccante Belanov. Il CALCIO TOTALE era tornato più forte di prima. Nel 1999, la Fifa ha eletto Michels allenatore del secolo e, nel 2002, la UEFA gli ha concesso l’Ordine di Merito per “il contributo alla crescita e alla storia del calcio”. Cerchiamo di comprendere la filosofia e i punti di forza del CALCIO TOTALE.
Il CALCIO TOTALE implica però meccanismi mentali non spontanei. La palla corre più veloce del giocatore e quindi la sua velocità di pensiero deve essere focalizzata nella circolazione e nella interdizione della sfera. Inoltre necessita di condizioni atletiche assolutamente particolari. Non bastano solo forza fisica, capacità, abilità tecnica, occorrono anche notevoli doti di aerobica e anaerobica, capacità cardio-respiratoria e coordinazione psicomotoria. Ad esempio, in Messico la ZONA è un modulo poco presente, a causa dei limiti di aerazione che comporta l’alta quota. E’ anche per questo motivo che troviamo poche riproposizione pratiche. Poche ma famose. Oltre al calcio olandese, ricordo la Dinamo Kiev del “colonnello” Valerij Lobanovskij che vinse 2 Coppe delle Coppe (1975 e 1986) con 2 differenti generazioni di calciatori: quella del Pallone d’Oro Blokhin (1975) – attuale CT dell’Ucraina di Shevchenko – e quella di Belanov, anche lui Pallone d’Oro nel 1986.E poi il Belgio di Guy Thys, finalista Europeo nel 1980 (perse 2 a 1 con la Germania) e semifinalista nella Coppa del Mondo del 1986; era il Belgio di Pfaff, Scifo e Ceulemans. Le differenze climatiche presenti nei continenti sudamericano e sud-europeo hanno finito per imporre alcune limitazioni e revisioni al modello originario. Da qui il passaggio dal CALCIO TOTALE alla ZONA. IL MODULO A ZONA In teoria, questa tattica non è limitata ad un solo reparto, quello difensivo, ma a un modulo collettivo. Per questo si dice abitualmente “giocare a zona”. In effetti, il campo viene diviso in porzioni o settori e vengono individuati i giocatori preposti a presidiarlo. Anziché seguire l’attaccante, occorre difendere la sezione del terreno di gioco assegnata. La somma di questi comportamenti singoli costituisce un insieme e inibisce il gioco offensivo avversario. Addirittura, ci sono tecnici che difendono a zona anche nei calci piazzati, in quanto ognuno deve sapere esattamente come comportarsi, indipendentemente da chi gli sta a tiro. Questo concetto, nell’Italia profondamente legata ai principi del catenaccio, ha rappresentato una rivoluzione copernicana. Ecco i pregi sintetizzati da Sacchi, grande sostenitore di questa filosofia:” Praticare la zona significa conquistare spazi e non concederne agli avversari. Sbaglia chi pensa che con la zona non si pratichi marcatura: è vero l’opposto. Il pressing è indispensabile, la tattica del fuorigioco è una conseguenza. Quando si attacca l’avversario in possesso di palla e tutta la squadra si porta avanti, è naturale che si mettano in posizione irregolare gli attaccanti opposti.” A livello internazionale, il Brasile ha sempre giocato a zona facendo premio sulla superiorità tecnica dei propri giocatori capaci davvero di essere difensori, rifinitori e attaccanti con la medesima efficacia. Il ritmo, condizionato dalle alte temperature, è sempre stato piuttosto basso e la palla viene fatta circolare tutta di prima, con una serie di fraseggi laterali. Sono il dribbling, l’azione di potenza, il virtuosismo individuale a rompere l’equilibrio. Cito solo un esempio, di per sé esplicativo. Una delle rappresentative verde-oro più famose e spettacolari di sempre, il Brasile 1970, giocava schierando contemporaneamente 5 mezze punte (Clodoaldo, Gerson, Rivelino, Tostao e Pelè) e un’ala pura (Jairzinho). Eppure, in campo nessuno se ne è accorto: tutti gli spazi erano regolarmente coperti e nessuno invadeva le competenze altrui. L’Europa ha accolto la ZONA sulla base dell’esperienza olandese, adattandola alle prerogative dei propri giocatori. In Italia, questo modulo ha preso piede negli anni 80. Il Napoli del 1974/75 guidato dal tecnico brasiliano Vinicio fu un antesignano, mentre la Roma di Liedholm e Falcao Campione d’Italia nel 1982/83 e soprattutto il Milan di Sacchi dal 1987 al 1991 sono state - senza dubbio - le espressioni più efficaci. Alla diffusione del modulo hanno contribuito, oltre che l’imitazione del calcio estero anche l’arrivo in Italia dei migliori stranieri in circolazione. In aggiunta a ciò, l’esperienza zonista si è sviluppata anche nelle categorie inferiori grazie a una pluralità di tecnici affascinati dalla nuova filosofia. Mi riferisco soprattutto a Zeman che portò il Licata in serie B e il Foggia in A (tra il 1992 e il 94), poi a Galeone (Pescara), Catuzzi (Bari), Orrico (Lucca), Maifredi (Bologna e Juventus), Perani (Bologna), Scoglio (Messina e Genoa), Sonzogni e Delio Rossi (Salernitana). Oggi è più raro vedere formazioni italiane praticare la ZONA PURA, in quanto da noi ha preso piede un approccio più morbido, la ZONA MISTA, della quale ci occuperemo più in là. Attualmente però la ZONA PURA viene utilizzata soprattutto dal calcio africano. In particolare quello dell’Africa Centrale. Velocità, preponderanza fisica, predisposizione al sacrificio hanno consentito a vari tecnici europei (soprattutto francesi e russi) di plasmare il calcio in questi Paesi, riuscendo ad ottenere risultati clamorosi. Del resto, l’ampia offerta di ragazzi che intravedono in questo sport migliori condizioni di vita, anche all’estero, e l’entusiasmo che hanno portato i recenti successi ottenuti nelle competizioni internazionali, hanno reso questo Continente un’alternativa ai tradizionali blocchi dell’Europa e del Sudamerica. Non possiamo nascondere il riguardo che meritano oggi le rappresentative del Camerun, Nigeria, Costa d’Avorio, Ghana, Senegal molto più che semplici comprimarie. LA ZONA A VERONA L’Hellas Verona è sempre stata una società piuttosto tradizionale da questo punto di vista. L’esperimento della zona PURA, durato poco meno di mezza stagione, appartiene all’esigenza di rispondere a una moda piuttosto che a un progetto vero e proprio. Siamo agli inizi degli anni 80 e i gialloblu hanno appena patito la delusione di un Campionato cadetto molto deludente, lontano dalle aspettative estive di un immediato ritorno in serie A. Eppure Veneranda aveva a sua disposizione una formazione piena di giocatori di grande esperienza come Mascetti, Fedele, Bergamaschi, Negrisolo, Roversi e Boninsegna. Ma fallì clamorosamente: dopo un buon girone d’andata, i gialloblu chiusero al 13° posto, in caduta libera. La dirigenza, a questo punto, saluta il tecnico e scarica metà squadra. L’obiettivo di un rilancio immediato è naufragato: Brizzi, Di Lupo e Guidotti decidono di rivoluzionare la rosa ringiovanendola in maniera drastica. La sensazione dei tifosi è che anche la stagione che stava per iniziare, sarebbe stata solo di transizione. Del resto occorre rifondare il gruppo, trovare nuovi leaders e individuare giocatori pieni di stimoli. Il dopo Garonzi doveva essere ancora completato e nel frattempo aleggiavano numerose polemiche e rimpianti tra i tifosi. Arrivano così diversi giovani dalla B e dalla C e in panchina viene richiamato, per la quarta volta, un tecnico affidabile ed esperto come Giancarlo Cadè a fare da chioccia. Nel Campionato 1980/81, esistevano 3 gruppi di squadre ben distinte tra loro: quelle dotate di una tecnica superiore alla media (Milan, Genoa, Cesena, Lazio e Sampdoria) in lotta per tornare subito in serie A; quelle all’avanguardia che adottavano il modulo a zona da alcuni anni producendo spettacolo e lanciando giovani interessanti (Pescara, Monza, Catania, Lecce e Bari); infine quelle tradizionali, poco scenografiche ma molto coriacee, tipiche formazioni di categoria. Il Verona non era né carne, né pesce: non aveva giocatori per fare il salto di qualità e nemmeno aveva acquisito la mentalità della serie B. Cadè non era mai stato uno zonista convinto, ma aveva sempre apprezzato il calcio dinamico e arioso, soprattutto quando doveva allenare formazioni di serie B che lottavano per la promozione. Con l’accordo della società, decise di impostare la squadra a zona. A centrocampo, il compianto Scaini aveva fatto esperienza a Monza, mentre Piangerelli (oppure Ferri) e Guidolin apparivano dotati di sufficiente sensibilità tattica; la difesa si mostrava in grado di adattarsi a sufficienza schierandosi in linea da destra a sinistra con Joriatti – Gentile – Tricella - Oddi; l’attacco infine, aveva grossi problemi di qualità e per questo il tecnico si affidava costantemente a un tridente formato da Valentini - D’Ottavio (bomber stagionale con soli 5 gol, tutto dire…) e Capuzzo. La Coppa Italia in genere è un buon banco di prova per capire la consistenza della squadra e ed è utile per completare la preparazione estiva. Il Verona viene collocato in un girone piuttosto agevole e si schiera in campo con un meticoloso 4-3-3. L’esito però è devastante: colleziona 1 pareggio casalingo (0 a 0 col Varese) e 3 sconfitte (a Pescara 1 a0, in casa 0 a 2 con l’Ascoli e 3 a 0 al Flaminio con la Lazio). 0 gol fatti, 6 subiti. L’Arena, preoccupata, scende in campo per far cambiare opinione al tecnico, ma i dirigenti preferiscono proseguire con l’esperimento: i ragazzi hanno bisogno del loro tempo per imparare, si dirà. Di fatto, in campo il Verona è bello da vedere ma appare ancora troppo teorico, contratto, didascalico. Forse la ZONA è un abito che non gli si addice. L’inizio del Campionato non è meno incoraggiante perchè i gialloblu hanno grossi problemi offensivi. Dobbiamo attendere la 9° giornata (siamo già a novembre) per assistere alla prima vittoria stagionale: 2 a 0 al Pescara con reti di Scaini e Oddi. La classifica si deteriora sempre di più, e vengono integrati in squadra un paio di vecchi marpioni allora svincolati: il jolly mancino Franzot,bandiera del Verona di Valcareggi, per dare concretezza a centrocampo e il centravanti Ulivieri. Non cambia nulla, o quasi. Cadè capisce che, proseguendo per questa strada, corre seriamente il rischio di retrocedere: i gialloblu, pur volenterosi, non sono ancora entrati nel meccanismo. Per nostra fortuna, appena tornati all’antico, riescono a reagire e conquistano una stentatissima salvezza. Fine dell’esperimento gialloblu. Passata la paura, i dirigenti capiscono che forse è arrivato il momento di prendere le cose sul serio e di investire. Ringraziano Cadè e chiamano alla guida tecnica un allenatore vincente, Osvaldo Bagnoli, che aveva appena portato in serie A il Cesena. Con lui la storia del Verona cambia pagina e si arricchisce di contenuti tali che nessuno di noi, all’epoca, era in grado di concepire. Al Verona di Bagnoli dedicherò tutta la prossima puntata. Mi pare il minimo. Massimo COME SI AFFRONTA LA ZONA PURA
Eccoci oggi a parlare della tattica da usare per contrastare una squadra che gioca a zona. Parliamo di zona pura, quella alla Zeman o alla Sacchi tanto per intenderci, cioè una squadra che fa del pressing e della velocità le sue armi migliori; una squadra molto corta. Qualcuno ritiene che questa è la tattica usata dalle squadre meno dotate tecnicamente ma questa è solo leggenda. I vari Cruijff, Van Basten, Gullit e Rijkaard non mi sembrano affatto giocatori scarsi tecnicamente. Quali sono le situazioni pericolose che possiamo creare? Innanzitutto dobbiamo mantenere il più possibile il possesso palla, facendo girare il pallone orizzontalmente nell’intento di aprire la squadra avversaria. Questa deve girare velocemente per eludere il pressing avversario ed i miei ragazzi devono aggredire lo spazio lasciato vuoto dall’avversario per creare una situazione di superiorità numerica. Più nello specifico, le situazioni più pericolose e critiche per il gioco a zona sono queste:
Nella fase difensiva invece incontrando una squadra a zona, dovremo necessariamente essere piuttosto lunghi per cercare di non consentire alla squadra avversaria di accorciarsi, creando di conseguenza una superiorità numerica. Lasciando la squadra lunga la obblighiamo a non avere troppi collegamenti tra i reparti, concederanno ampi spazi liberi nei quali dobbiamo cercare di inserirci. Alla prossima. Mauro |
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