COME SI ALLENANO I RAGAZZI | |
Quando, durante la partita, sentire l'allenatore di vostro figlio, nipote etc urlare ai propri ragazzini: "Che razza di stop è mai questo!" oppure "Guarda questo come tira!" cominciate a porvi il dubbio se lui, durante l'allenamento, ha mai dedicato tempo a sufficienza per insegnare loro come si stoppa una palla oppure come si calcia in porta. Sicuramente, prima o poi, lo sentirete lamentarsi anche per concetti molto più sofisticati, come ad esempio "uscite, perché ci stanno schiacciando!" senza ricevere dal campo alcuna risposta tangibile se non sguardi smarriti su quello che vuole e sul come si deve fare. A volte il linguaggio degli allenatori è così distante da quello di cui hanno bisogno i propri giocatori (anche professionisti) che si comprende facilmente chi riesce a trasmettere messaggi concreti e chi invece sta semplicemente giustificando se stesso lì, in quel momento. Il fatto è che nessuno "nasce imparato". Men che meno quando parliamo di bambini. Allenare i ragazzi è quindi quanto di più affascinante e delicato ci possa capitare perché loro recepiscono solo quello che offriamo. Più che un'arte, è una vocazione. La principale difficoltà che incontrano gli allenatori di bambini/ragazzi è che si confrontano con fisici e caratteri in continuo mutamento (verrebbe da scrivere in continua evoluzione, ma spesso non è così, soprattutto per quanto riguarda la loro maturazione) e devono rendere compatibile il gioco e il senso di libertà che si accosta al calcio con le regole e la disciplina di uno sport di squadra. Come se non bastasse, non tutti i ragazzi sviluppano con gli stessi tempi e nella medesima proporzione. La preadolescenza compare in maniera assolutamente variabile e individuale. Ecco perché, cominciando a proporre da subito esercizi legati al coordinamento e alla tecnica si ottengono, col tempo, risultati incredibili che riescono a compensare eventuali diversità sul piano fisico. Nella foto si vede come l'attaccante, nonostante sia nettamente più piccolo fisicamente, riesca con successo a proteggere il pallone dal ritorno irruente del gigantesco difensore avversario. E, di lì, a sviluppare una successiva azione offensiva. SI ALLENA SECONDO L'ETA' L'impostazione che guida questo tipo di allenamento è completamente diverso rispetto a quello previsto per adulti. Col passaggio da un anno all'altro cambia tutto e si introducono forme sempre più complesse di perfezionamento che seguono pari passo l'evoluzione fisica del ragazzino. Vediamo in dettaglio. I bambini di 5/8 anni sono guidati da un forte egocentrismo per cui è inutile richiedere loro risultati che riguardano il concetto di gruppo. Ciascuno considera se stesso come un'intera squadra e ritiene che il suo unico obiettivo sia quello di arrivare dall'altra parte del campo, con la palla al piede, e tirare in porta. In tal senso, l'allenatore dovrà lavorare soprattutto sugli esercizi di coordinamento (ritmo, misura e ripartenza) che sono fondamentali per creare una corretta relazione tra bambino e pallone. Chi ha difficoltà a stoppare la palla a quest'età, avrà difficoltà anche ad effettuare un tiro a canestro o una ricezione a baker. Ecco alcuni esercizi di coordinamento:
I ragazzi dagli 8 ai 12 anni riescono ad assumere comportamenti collettivi. Proseguendo con quelli di coordinamento, si dovranno introdurre i primi esercizi di psicocinetica volti a migliorare la capacità condizionale (rapidità, velocità, potenza). Essere veloci, oppure forti fisicamente, è un dono di natura; pertanto l'allenatore dovrà lavorare sulla crescita del ragazzo accompagnandolo nello sviluppo (o miglioramento) delle doti che tardano ad emergere. Ecco alcuni esercizi:
Ha un senso, a quest'età, introdurre il ragazzo ai movimenti con la palla tra i coni, alternando lo slalom solo con l'uso dell'esterno di entrambi i piedi e poi con solo l'uso dell'interno. All'inizio sarà una sofferenza, ma poi si creerà una certa familiarità con l'uso completo del piede. A partire dai 13 anni, infine, si possono effettuare forme ancora più evolute di esercizi che perfezionano sia il coordinamento che il condizionamento. Qui il concetto di aggredire lo spazio e migliorare l'intensità viene più naturale perché la combattività del ragazzo è naturale. Si possono introdurre quindi i movimenti che abbiamo già visto: SOLO > vado, UOMO > scarico al compagno, utilissimi nel corso della partita e in grado di sviluppare la componente razionale. Poiché nulla avviene in maniera perfetta, quest'età di solito fornisce grossi risultati dal punto di vista fisico, ma ha grossi limiti dal punto di vista comportamentale. Si entra nella fase della preadolescenza, quello della ribellione e dell'eterna giustificazione del fare. Non fanno testo i "ragazzi perfetti" dei settori giovanili delle squadre di calcio di serie A, quelli sempre disponibili ed educati che vengono fuori da una accurata selezione. Mi riferisco soprattutto ai "ragazzi normali", quelli che giocano in parrocchia o in piccole società sportive. Capiterà spesso agli allenatori di trovarsi di fronte a risposte e atteggiamenti infantili e ad una scarsa partecipazione attiva perché l'allenamento viene considerato come una faticosa perdita di tempo. Come si fa con i bambini, occorre dunque adottare particolari strategie e forme di coinvolgimento. ALLENARE FACENDO DIVERTIRE Un elemento fondamentale che accomuna l'allenamento dei bambini e quello dei ragazzi è la componente ludica. Il divertimento deve sempre accompagnare gli esercizi richiesti. Questo consente di ottenere almeno un paio di risultati fondamentali: da una parte, non annoia i giovani atleti, tiene desta la loro attenzione, non limita l'impegno alla partitella di fine seduta; dall'altra, consente all'allenatore di introdurre forme alternative e sempre più fantasiose di esercizi per pervenire all'obiettivo tecnico che intende raggiungere. Naturalmente, ciò che è considerato divertimento per un bambino di 8 anni è completamente differente da ciò che è considerato per un ragazzo di 13/15. Il primo rimane nell'ambito del gioco e del contatto con la palla, il secondo mira alla valorizzazione del proprio fisico e a creare un punto di attrazione (talvolta negativo) all'interno della squadra. Il criterio guida è però sempre lo stesso: si parte dalla familiarità con la palla e si arriva progressivamente all'idea del gruppo, del ruolo da interpretare, dell'importanza del compagno, della posizione da assumere in campo. L'allenatore comunica dunque ai suoi ragazzi un esercizio che ha una componente ludica, dietro il quale si deve nascondere un obiettivo tecnico. Il primo lo comunica sempre, il secondo lo tiene per sé. Ecco alcuni esempi:
IL RUOLO DELL'ALLENATORE Educatore, insegnante, un po' padre e un po' fratello maggiore. Allenare i ragazzi non è certo come allenare giocatori adulti o professionisti. Soprattutto se si gioca in squadre senza pretese, con pochi mezzi a disposizione, chiedendo a tutti sacrificio e massima collaborazione. Ogni buon tecnico userà i metodi che più gli sono consoni, ma avrà sempre l'obiettivo di insegnare cosa fare della palla durante la palla, come stare all'interno di un gruppo, come sapersi relazionare con gli avversari, riconoscere il valore della vittoria e (altrettanto difficile) quello della sconfitta. È buona norma avere una parola per ogni ragazzo, chiamarlo spesso e per nome, spronarlo, riconoscergli l'impegno e avere un rapporto franco su cosa deve fare per migliorarsi. Un suo gesto brillante, durante la gara, è anche il successo del suo allenatore. Ma un errore fatale spesso dipende dalla mancanza di attenzione da parte di chi dovrebbe portarlo a sbagliare il meno possibile. L'obiettivo di ogni allenatore non è dunque quello di scoprire un nuovo campione, ma creare un buon giocatore che sappia divertirsi giocando a pallone per i prossimi 40/50 anni. NOTA non avendo a disposizione immagini di giocatori del settore giovanile dell'Hellas, ho inserito 3 foto della mia squadra. In ognuna è riconoscibile il giocatore per me più importante di tutti: mio figlio Edoardo. Scusate l'invadenza. Massimo |
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