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La Retrocessione 1996/1997, parte 1 - PROMOSSI SENZA SCAMPO?

La stagione 1996-97 è la prima di una nuova era. La recente sentenza Bosman (del dicembre 1995) ha cambiato radicalmente il calciomercato: nell'estate del 1996 le società europee approfittano per la prima volta della possibilità di schierare un numero illimitato di giocatori comunitari, e gli stessi calciatori godono della più ampia libertà contrattuale loro concessa. Se fino al 1996, scorrendo le formazioni schierate nelle finali delle coppe europee si poteva ancora vedere chiaramente la matrice nazionale delle singole squadre ( "sporcata " in genere da soli 3 calciatori stranieri), da allora - e sempre più nel corso degli anni successivi - il legame tra nazionalità di appartenenza della società e giocatori in campo diverrà via via più tenue, sino ai giorni nostri dove i giocatori della nazionalità della squadra rappresentano l'eccezione piuttosto che la regola.
Al di là di come la si pensi sull'esito (positivo o negativo) di una simile rivoluzione negli anni successivi, c'è da dire che la novità caratterizza - senza ancora sconvolgerlo - il mercato estivo della Serie A 1996-97. Il fatto più inedito è che alcuni calciatori italiani, anche di rilievo, scelgono di emigrare all'estero: la Juve (fresca campione d'europa) perde Vialli (che va al Chelsea) e Ravanelli (Middlesbrough), la Lazio vede partire Di Matteo (al Chelsea), il Milan Di Canio (al Celtic), mentre la Roma saluta un Giannini ormai sulla via del tramonto, che approda allo Sturm Graz. Siamo negli anni '90, il campionato italiano è certamente il più competitivo e vincente del mondo e molti dei campioni più titolati, specie tra quelli che si sono messi in luce nel recente europeo inglese (pur in un periodo in cui mancano fuoriclasse affermati di valore assoluto), passano inevitabilmente dalle nostre parti. Solo per citare qualche nome, quell'estate la Juve porta in Italia Zidane, il Parma Thuram e Crespo, la Lazio Nedved, l'Inter Djorkaeff e Zamorano, il Milan Davids e Dugarry.

Zidane e Nedved
Zidane e Nedved in azione nelle rispettive nazionali.

In questo contesto il Verona neopromosso, parte da subito con la consapevolezza che ci sarà da lottare, e molto, per riuscire ad evitare un'immediata retrocessione. L'era Bagnoli è ormai un ricordo lontano più di un lustro e, dopo l'illusoria parentesi in A della stagione 1991-92, l'Hellas è reduce da quattro stagioni nel campionato cadetto, tre delle quali (quelle comprese tra il 1992 ed il 1995) spese nell'anonimato più assoluto. La stagione 1995-96 (la prima con la denominazione Hellas Verona FC) riporta però di nuovo entusiasmo nell'ambiente gialloblu: la squadra, affidata in estate ad Attilio Perotti, è un perfetto mix tra giovani in rampa di lancio e vecchie volpi (Baroni e De Vitis su tutti). L'Hellas, in particolare, sfrutta l'ottimo lavoro fatto a livello giovanile nei primissimi anni '90 e schiera in rosa ben 7 prodotti del vivaio: si tratta dei titolari Fattori e Tommasi, entrambi veronesi che a fine stagione risultano in assoluto i più presenti della squadra gialloblu, ed i rincalzi Lamacchi, Salvagno, Ghirardello, Guardalben e Ferrarese. Tra i giovani ci sono anche Cammarata ed il talentuoso Zanini, entrambi di scuola Juve, oltre a Vanoli, scatenato incursore di fascia. Il Verona di Perotti gioca un bel calcio e conquista con alcune giornate d'anticipo la promozione, chiudendo il campionato al secondo posto dietro al Bologna, a causa di un finale di stagione fin troppo rilassato.
L'entusiasmo della promozione deve però fare ben presto i conti con una realtà difficile. Il presidente Stefano Mazzi, che, con la promozione, ha centrato esattamente secondo i tempi previsti un progetto triennale di riportare il Verona in Serie A, non dispone di grande risorse e, rispetto al padre Eros, cerca di improntare la gestione del club in un'ottica più manageriale, lamentando l'assenza di imprenditori veronesi disposti ad affiancarlo alla guida del club gialloblu. Il contesto economico del veronese è sicuramente meno frizzante rispetto a quello degli anni '80 (l'Hellas riuscirà a rimediare uno sponsor per le maglie, Ferroli, solo a ridosso dell'inizio del campionato) ed a fiaccare l'entusiasmo del presidente scaligero (e di eventuali imprenditori disposti a mettere dei soldi nell'Hellas) contribuiscono anche le recenti "prodezze " delle frange più esagitate della Curva Sud, non da ultimo il vergognoso caso Ferrier che porta tristemente il tifo del Verona alla ribalta nazionale nella primavera del 1996.

Striscione di contestazione
Lo striscione di contestazione esposto dai tifosi gialloblu.
Fonte www.primoluglio2004.it

A complicare il quadro si aggiunge l'addio di mister Perotti, principale artefice della promozione, che lascia Verona ufficialmente per motivi familiari (le malelingue sospettano però che dietro alla sua rinuncia ci sia la mancanza di garanzie sulla costruzione di un Hellas competitivo), e torna a Genova, sponda rossoblu. La società, inoltre, non può rifiutare l'offerta di quasi 6 miliardi di lire che arriva dalla capitale, che porta l'astro nascente Damiano Tommasi (campione europeo under 21 con la nazionale italiana proprio nel giugno 1996) alla Roma.
L'Hellas che si presenta ai nastri di partenza della stagione 1996-97 deve quindi fare a meno del condottiero e del calciatore più rappresentativo della recente promozione: per cercare di colmare questo vuoto, e di migliorare la squadra in vista del difficile campionato di Serie A, viene innanzitutto chiamato in panchina l'emergente Gigi Cagni, reduce dalla prima storica salvezza in A del Piacenza, squadra che lui stesso aveva contribuito a portare nella massima serie. Il nuovo mister viene accolto positivamente dall'ambiente: i recenti risultati conseguiti con il modesto Piacenza parlano a suo favore e l'aura da sergente di ferro sembrano l'ideale per affrontare un campionato difficile con una squadra povera di mezzi tecnici.
Il valore tecnico della squadra si preannuncia infatti obiettivamente povero: il calciomercato, orchestrato da Nardino Previdi, porta a Verona il regista ex-grande promessa in cerca di riscatto Eugenio Corini dal Piacenza (il "faro " del gioco gialloblu, nelle intenzioni di mister Cagni), lo stopper Siviglia dalla Nocerina e Paganin dall'Atalanta, i centrocampisti Bacci (dal Torino), Colucci (dalla Reggiana), Giunta (dal Brescia) e Binotto (dal Cesena), l'ala Orlandini (dall'Inter), l'esotico Reinaldo (dal Palmeiras) ed al foto-finish (siamo già a settembre) il bomber in rampa di lancio Pippo Maniero dalla Sampdoria (6 reti in Serie A nel 1995-96). Proprio l'acquisto del giovane brasiliano Reinaldo, all'epoca solo ventenne ma già reduce da un esordio folgorante nell'Atletico Mineiro (13 reti in 35 gare a 17-18 anni), subito stemperato da una sonora bocciatura nel campionato belga (con 2 sole presenze in due stagioni) e da 12 partite senza reti in Brasile, - e che anche in riva all'Adige si rivelerà un fiasco totale - testimonia chiaramente il tenore da "vorrei ma non posso " del mercato gialloblu, che di fatto porta a Verona solo qualche "scartino " della Serie A ed una manciata di buoni giocatori presi dalle categorie inferiori.

Pierluigi Orlandini
Pierluigi Orlandini.

Inutile dire che i pronostici della vigilia vedono l'Hellas come una delle principali candidate alla retrocessione: alla presentazione della squadra, accolta freddamente dai tifosi con non più di 500 presenze (e dove è proprio Reinaldo a ricoprire il ruolo di giocatore più acclamato), Cagni si limita a dichiarare: "Tutti partono alla pari, non esisteranno titolari inamovibili. Non abbiamo atleti capaci da soli di fare la differenza. La vera forza del Verona dovrà essere il gruppo". Un mese più tardi, siamo al 22 agosto 1996, alla luce anche delle amichevoli estive tutt'altro che esaltanti, le parole rilasciate dal mister a Repubblica sono ancora più preoccupate (e preoccupanti): "Il Verona al momento non è ancora una squadra decifrabile, quindi è impossibile dare una valutazione. E' passato appena un mese, e abbiamo fatto un grande lavoro per conoscerci, capirci, vedere come stare in campo. La A, per il Verona, è una categoria nuova, ci sono molti giocatori nuovi, ed io ne conoscevo solo due, De Vitis e Corini. La rosa non è ancora completa: ci manca di sicuro una punta centrale (Maniero deve ancora arrivare, ndr), e poi forse anche qualche altro ritocco. Ma è presto per dirlo. La società, che finora ha operato per il meglio, mi ha promesso che se sarà necessario tornerà sul mercato. Nelle amichevoli estive non siamo andati benissimo come risultati, ma abbiamo fatto un lavoro, importantissimo per il resto della stagione. Sarà difficile salvarsi? Sì, ma lo sapevo in partenza. Ci attende un campionato diviso in due blocchi, con un divario accentuato e una fascia sempre più ristretta di squadre-cuscinetto, con la speranza che le squadre coinvolte nella battaglia per non retrocedere siano quante più possibile".
Forse ancor più della stagione 1989-90, quella del 1996-97 è in qualche modo una "retrocessione annunciata ".

La rosa del Verona 1996/97
La rosa del Verona 1996/97.

Enrico






Hellastory, 10/05/2016
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