Il tentativo di truffa ad Arvedi con tanto di finto cardinale
Siamo sul finire del 2007; il Verona è clamorosamente invischiato nelle zone basse della prima divisione di Lega Pro e (tanto per cambiare) la società è in vendita. Il sedicente «Cardinal Visco» accompagna Lancini dal presidente gialloblu Arvedi e con la sua «benedizione» le parti trovano l'accordo per la cessione; Lancini firma un contratto preliminare di acquisto dell'Hellas sulla base di 5 milioni di euro. Il pagamento - prima anomalia - avviene in contanti con pacchi di banconote chiusi in una borsa sigillata con un lucchetto. Verificata l'entità della somma, Arvedi e Lancini vanno in una banca cittadina e depositano la borsa in una cassetta di sicurezza: la chiave di accesso, in duplice copia, è a disposizione di entrambe le parti coinvolte nella compravendita, con l'accordo, anomalo, che il denaro resti al sicuro per alcune settimane.
Poco dopo Lancini raggiunge nuovamente Arvedi, sempre con il «Cardinal Visco»: il conte, a quel punto, vuole mostrare al prelato la cappella di famiglia della villa di Cavalcaselle. E qui l'attore commette una leggerezza imperdonabile: si «dimentica» del segno della croce quando varca la soglia della chiesetta privata. Una dimenticanza che alimenta sospetti latenti e che convince Arvedi e i suoi collaboratori a controllare il contenuto della borsa chiusa in banca: la sorpresa, tale fino a un certo punto, racconta di 5 milioni di euro falsi e di un contratto ormai firmato. A quel punto Lancini, forte del preliminare d'acquisto, ha già contattato un bergamasco per cedergli la sua «posizione» per soli 2 milioni di euro. Soldi veri in cambio di soldi falsi, un guadagno alla vendita e all'acquisto che avrebbe soddisfatto entrambi. Ma l'arresto di Lancini, a marzo 2008, fa saltare tutta l'operazione. E mette alla fine a quello che forse rimane l’episodio più surreale
dell’intera storia gialloblu.