Le Paha sapa sono colline del South Dakota dove risiedono da generazioni i Sioux. Per loro sfortuna, soldati americani scoprono che in quelle terre selvagge e affascinanti - che chiamano Black Hills - ci sono filoni d'oro. Ergo, quelle devono necessariamente trasformarsi in un territorio di libero accesso, sgombro da interferenze native locali. Siamo nella tarda primavera del 1876. Il governo americano, senza conoscere l'entità del nemico e neppure la sua dislocazione, decide di convogliare tre filoni dell'esercito nel punto in cui i fiumi Yellowstone e Big Horn si fondono insieme per spazzare via i pellerossa diventati all'improvviso fastidiosi e ribelli visto che, ovviamente, loro se ne fregano dell'oro ma hanno a cuore i boschi e i pascoli dove vivono da sempre. Cavallo Pazzo ha creato un unico fronte alleando insieme Cheyenne, Brulè, Piedi Neri, Arapaho, circa 15.000 persone. E poi ci sono i temibili Sioux di Toro Seduto. Poiché la gloria e la competizione tra i vertici militari è elevata, il generale Terry è quello che vuole arrivare prima degli altri e prendersi così tutto il merito. Per sua sfortuna, punta di diamante del suo reggimento, il 7° Cavalleggeri, è il tenente colonnello Custer, già generale degradato a Fort Leavenworth dalla Corte Marziale nel 1867 per crudeltà e abbandono del posto di comando. Custer, alla ricerca di una rivincita personale, per arrivare prima degli altri e sorprendere gli indiani, commette tre errori strategici che lo porteranno all'inevitabile disfatta: rifiuta di prendere con sé 2 mitragliatrici Gatling a 6 canne rotanti, impone ai suoi soldati un assetto leggero obbligandoli a marciare per una giornata intera, infine rifiuta l'accompagnamento di esploratori indiani Crow che conoscono perfettamente l'area e le usanze dei nativi. Il 25 giugno, in prossimità del grande accampamento, Custer commette la leggerezza di dividere i suoi in 4 colonne impoverendo ulteriormente le sue già misere forze. Un fronte, quello più estremo, è preso subito d'assalto dagli indiani. A quel punto, accortosi dell'errore commesso, scende dalle colline a precipizio per andare in soccorso del capitano Yates. Sono sufficienti 25 minuti ai pellerossa per sbaragliare i 268 soldati del contingente, ufficiali compresi. Come sono bastati 90 minuti al Porto per imporci i playoff e il terzo posto di classifica. Un'umiliazione dietro l'altra.
Ma la sconfitta, in entrambi i casi, viene da lontano.
Il gol di Bocalon, che in dialetto veronese indica non solo la maniera ingenua (...) con cui abbiamo preso il gol ma anche con cui abbiamo sprecato un intero campionato, non ha fortunatamente un esito definitivo. Forse lo rinvia semplicemente, forse no. Al Verona è rimasta comunque una via d'uscita. Ma apre un grande squarcio sulla credibilità della dirigenza gialloblu e sulle scelte fatte finora. Solo vincendo i playoff possiamo trasformare il fallimento clamoroso che ci appare oggi in uno spavento inimmaginabile. Ma sarà, nel migliore dei casi, una vittoria rimediata.
Con quale esercito, con quali armi, con quale convinzione dei nostri mezzi affronteremo domani Rimini, Pescara e Reggiana? In Campionato, il Rimini ci ha già battuto due volte, il Pescara ci ha imposto 2 volte il pareggio e ha pure il vantaggio del migliore piazzamento in classifica, la Reggiana ci ha superato anche al Bentegodi.
Ma torniamo al presente.
Sono un'infinità gli accostamenti che accomunano Remondina al Generale Custer: a parte quelle estetiche che riguardano la chioma bionda e il colore della divisa e delle mostrine che entrambi indossano (blu e giallo), ci sono anche i continui fallimenti professionali, anche se è poco onorevole da parte mia confrontare le sconfitte sportive di Piacenza e Verona con i massacri di soldati americani che ha provocato nel 1867, nel fiume Washita l'anno successivo e infine a Little Big Horn. Ma soprattutto, entrambi hanno perseverato in un ruolo di comando solo in quanto protetti dai propri superiori.
È già perché non è possibile, oggi come oggi, criticare Remondina senza dover coinvolgere anche Bonato non solo per l'inspiegabile conferma del tecnico quest'estate (ha senso risparmiare sull'allenatore dopo aver speso l'impossibile per i giocatori?), ma anche per la leggerezza con cui ha affrontato il dopo Marcianise. Bonato è responsabile quanto il suo tecnico per questo risultato.
Remondina ha cotto la squadra anche quest'anno conquistando nel girone di ritorno la miseria di 25 punti, esattamente quanti il girone di ritorno dell'anno scorso quando sprecò nel finale, con 6 pareggi, l'obiettivo dei playoff con una formazione però meno forte (e sicuramente peggio pagata). Ha concesso 9 punti nelle ultime 6 partite al Porto, meritamente promosso in B. Non è stato in grado neppure di chiudere al secondo posto per avere qualche vantaggio di classifica nel corso dei playoff.
La squadra non ha un gioco, è un insieme di individualità. La partita con il Porto, l'abbiamo vista tutti, è stata l'espressione lampante di guerrieri disperati, lasciati a loro stessi senza un raziocinio tattico, che si sono lanciati tutta la gara testa bassa alla ricerca di un gol che mettesse tutto a posto. Ma il calcio ha una sua logica: come poteva il Verona attuale riuscire a capovolgere il declino in cui siamo precipitati a Marcianise? Come poteva Custer, con 500 soldati quasi disarmati, avere la meglio di 3.500 motivatissimi guerrieri? È bastato un avversario lucido, razionale e sicuro dei propri mezzi per sfiancare la nostra carica spregiudicata e colpirci il fianco lasciato scoperto. La Spal, il Rimini e adesso il Porto, in queste ultime partite, hanno evidenziato una fragilità emotiva che non ci consente più di portare a termine una gara nella maniera sperata. Perdere oggi è stato devastante soprattutto dal punto di vista psicologico, perché siamo rimasti frustrati dalla nostra inconcludenza offensiva.
Del resto, se punti un'intera stagione giocando a neutralizzare l'avversario anziché dominarlo, come puoi essere capace poi di attaccarlo quando ne hai l'assoluta necessità? Le assenze di Comazzi e Berrettoni, a mio avviso, non sono un alibi. Il Verona ha perso la partita a centrocampo, cadendo nella trappola del Porto che ci ha concesso solo la corsia di sinistra dove Pugliese ha fatto un'infinità di cross preda facile dei lunghi difensori ospiti. Per il resto, un muro invalicabile in mezzo e la sfrontatezza di giocatori come Cunico, Espinal e Altiner che hanno trovato infiniti spazi per portare via ai nostri energie e lucidità.
Avevamo solo un risultato a nostra disposizione, dovevamo vincere. Ma come? Grazie a cosa? Remondina, nelle tre partite precedenti, non è mai riuscito a fare un gol al Porto di Calori. Poteva riuscirci oggi?
A questo punto non ho più certezze. Me le hanno completamente cancellate i silenzi di Martinelli, l'ostinazione di Bonato, l'insicurezza che trasmette Remondina, la stanchezza dei nostri giocatori. La sofferenza di Rantier e i crampi di Selva sono l'emblema di questo finale di campionato.
Mi chiedo solo una cosa: se non abbiamo saputo sfruttare l'indiscussa superiorità tecnica che avevamo sulla carta, i punti di vantaggio accumulati in inverno, l'eccezionale difesa, cosa potrà mai aiutarci? Oggi tutto quanto si azzera. Tutti partono con le stesse probabilità. L'anno scorso, il piccolo Crotone condannò in finale il ricco Benevento. Oggi, Pescara, Rimini e Reggiana stanno meglio di noi sia nella testa che nelle gambe. Sia nella tensione nervosa accumulata che nella sfrontatezza. Siamo ancora la squadra da battere ma, dentro di noi, siamo già stati battuti una volta da un avversario che non aveva niente da perdere.
A questo punto, non ho più certezze o fiducia. Forse, solo la disperazione ci può aiutare. Ma la disperazione non è mai un alleato fedele e duraturo. E quattro finali sono un'eternità.
Massimo
COLONNA SONORA Silenzio, silenzio. Solo il silenzio copre la delusione, la rabbia, la solitudine che provo in questo momento.