E se nel 1984 Luciano Marangon fosse andato veramente a giocare nella penisola arabica?
Lasciamo per un momento da parte la rincorsa a perdifiato del Verona di Ventura e facciamo un tuffo nel passato cercando di calarci nel clima del momento.
Gennaio 1984, è il Verona «europeo» di Belgrado e Graz, Bagnoli non ha ancora rinnovato il contratto (lo farà da lì a poco) e si spera ancora in una storica (ri)qualificazione UEFA. Nessuno parla di Scudetto.
Il nostro Luciano Marangon racconta di se e di una proposta, abbastanza clamorosa, ricevuta dagli Emirati Arabi, in una intervista dell’epoca, rilasciata a «Lo Sport Veronese».
Luciano Marangon, da due anni terzino sinistro del Verona, alle spalle una bella carriera che l'ha portato a vestire il 14 aprile 1982 la maglia della Nazionale maggiore, è tornato a far parlare di sé, seppur indirettamente. Il suo procuratore, infatti, Antonio Caliendo, pare gli voglia proporre l'Arabia come nuova terra ca1cistica, dietro, si dice, un compenso di tre miliardi per tre anni. L'interessato afferma che vaglierà al più presto l'eventualità e tutti i torti non glieli possiamo dare.
Ma ci pensate? Una montagna di petrol-dollari, la libertà di possedere un harem (anche due, Maranga, anche due), l'estate perenne (e il nostro terzino è innamorato dell'estate), un livello ca1cistico, infine, non eccezionale, dove un buon calciatore europeo reciterebbe il ruolo del fuoriclasse. Scusate se è poco. Insomma, Luciano lascerebbe il Bentegodi per il Bengodi, ma, viste le notizie che giungono da quei lidi, vorremmo che si informasse sulle eventuali punizioni previste per chi sbaglia una partita o un gol... Maranga resta qui che laggiù, se sbagli, ti tagliano i piedi!
Scherzi a parte e data per fondata la possibilità che uno sceicco lo voglia alla sua corte, dubitiamo che Luciano abbandonerà il suolo italico. Anche se esteriormente può apparire solo un ragazzo innamorato della bella vita e della mondanità, lo scopo della sua esistenza non è rappresentato solo dal calcio ma soprattutto, da sua figlia, Beatrice, cinque anni, nata dal suo matrimonio contratto sette anni fa e naufragato dopo poco tempo.
Da tre anni Luciano è separato di fatto, la ex moglie vive a Vicenza con la figlia, e lui, il numero 3 gialloblù, vive da solo («anche se la compagnia non mi manca mai» assicura). Quando va a Vicenza a trovare la figlia e la porta con sé a Verona per qualche giorno appare trasformato, appagato e rivela una dolcezza insospettabile.
«Sì, Beatrice è l'unico vero scopo della mia vita. Credo che la mia immagine di uomo sia stata un po' troppo calcata negativamente dalla stampa, nei confronti della quale ho sempre dato più di quanto ho ricevuto e la gente probabilmente si è fatta un'opinione molto superficiale nei miei riguardi. Sono invece anche un padre, affettuosissima con sua figlia, per la quale prega Dio perché cresca sana e spera in ogni momento che il suo futuro sia sgombro di pericoli e tentazioni. Certo non posso negare che mi piace divertirmi, che sento dentro di me una gran voglia di cogliere la vita nella sua pienezza, ma questo non vuoi dire che sia uno scapestrato, uno scriteriato scavezzacollo.
Ho imparato a conoscermi e a conoscere il mondo in cui viva, quello calcistico in particolare, i vent'anni li ho passati da un po' e ti assicuro che quello che faccio, lo faccio sempre con la testa sul collo».
La fortuna, si dice, è fatta di vetro: nel momento in cui brilla di più, si spezza. Per te è stato così?
«No, direi di no. Dalla mia carriera in nove anni di professionismo ho già avuto molto e non sono d'accordo con chi ritiene che la Nazionale sia l'apice dopo di che tutto il resto non deve contare più nulla. Nel calcio ci sono momenti di grande soddisfazione che devi esser capace di cogliere nel modo giusto, dando l'esatto valore alle cose, per non avere poi dei conseguenti riflessi negativi nel momento in cui gli attimi fortunati si eclissano. Per questo,nel momento in cui mi è venuta a mancare la Nazionale non ho patito alcuno choc. Il mio carattere e la mia voglia di vivere, inoltre, fanno sì che riesca ad affrontare anche i momenti difficili con il sorriso sulle labbra».-
Ami la popolarità?
«Mi fa piacere, la accetto, ma non la vado a cercare».
Sei un patito delle corse in auto: è per questo che prendi tante «sbandate»?
«Sì, né prendo tante, però con le donne, non in macchina. La figura femminile esercita su di me un fascino incredibile, che mi attrae irresistibilmente e per questo spesso sono vittima di entusiasmi travolgenti».
Ma le donne hanno condizionato la tua carriera?
«Sì, ma al contrario di quanto si possa meschinamente credere, hanno inciso in modo positivo, aiutandomi molto a risolvere i periodi di crisi».
È vero che sei come le noci, duro fuori, tenero dentro?
«Sì, è vero. Posso sembrare freddo, insensibile, ma dentro di me le emozioni e i sentimenti li avverto, eccome».
Sono passati 23 anni e sappiamo esattamente come andarono le cose, sappiamo che quella stagione, non conclusasi secondo aspettative, fu solo un introduzione al trionfo dell’anno successivo e sappiamo anche che il buon Marangon rimase a Verona ancora per un anno, giusto il tempo per diventare anche lui un Eroe dello Scudetto.
Caro Luciano, per fortuna sei rimasto a Verona.
Valeriano
[Leggi la scheda di Luciano Marangon]