L'umiltà
di Bagnoli è tanto incredibile quanto autentica: non c'è verso di
strappargli un minimo di autocompiacimento di fronte ad un'impresa
epica come quella di portare uno scudetto a Verona: è sempre il
gruppo da elogiare, i suoi ragazzi. Non riconosce meriti propri
nemmeno quando gli sciorino qualche giocatore che solo sotto la sua
guida ha avuto qualche risultato apprezzabile. Stesso atteggiamento
quando gli ricordo di quel Verona fatto di scarti e scommesse che
quasi si salvava a Cesena nel 1990.
D
"Ci sono giocatori che solo a Verona sono riusciti ad emergere,
penso ad esempio a Iorio, a Storgato, a Sacchetti, che altrove non
sono mai riusciti a raggiungere gli stessi risultati. Ma anche altri
hanno avuto destini simili quindi un po' di merito ce l'ha avuto
Bagnoli nel valorizzarli, per non parlare poi della squadra
retrocessa a Cesena nel '90: lei è consapevole che per molti
tifosi quella sfortunata stagione è tuttora considerata comunque
come l'ennesimo miracolo di Bagnoli?"
O
"La società era in crisi e per sopravvivere vendette tutti i
giocatori, ne arrivarono altri e ci volle tempo per trovare il giusto
equilibrio, riuscimmo a fare comunque un campionato onorevole perché
tra quei giocatori ce n'erano di buoni. Io sarei rimasto anche in
serie B, si era creato un potenziale per risalire in fretta e
iniziare un nuovo ciclo ma non ebbi risposte convincenti dalla nuova
società e quindi scelsi, a malincuore, di lasciare il Verona. Iorio
e gli altri che mi ha elencato erano bravi giocatori, altrove non
hanno avuto fortuna perché impiegati male o per altri motivi, io li
mettevo semplicemente al posto giusto."
Sarebbe
rimasto anche in B ma non trovò l'accordo con la nuova società.
Forse è il caso di indagare sui rapporti dell'Osvaldo con le varie
dirigenze con cui si è trovato a lavorare nella sua carriera da
calciatore e poi da allenatore.
D
"Nella sua carriera, prima da calciatore, poi da allenatore, ha
girato molte squadre ed ha avuto a che fare con vari presidenti e
società, con chi si è trovato bene e con chi, al contrario, ha
avuto esperienze negative?"
O
"Da giocatore ho ottimi ricordi di Mazza, il patron della Spal dove
militai negli anni '60. Era il classico Presidente che faceva tutto
da solo e conosceva bene il calcio, una grande persona che, non a
caso, riuscì a tenere tanti anni in serie A una squadra di
provincia. Non c'erano procuratori all'epoca e quindi i giocatori
venivano contattati direttamente ed era proposto loro l'ingaggio.
Io non trattavo mai, mi accontentavo di quanto mi veniva dato.
Accettai l'offerta della Spal e, dopo un paio di mesi, Mazza mi
chiamò nel suo ufficio per dirmi che per come giocavo meritavo di
più e mi alzò lo stipendio. Per me fu una grande soddisfazione. Mi
trovai molto bene anche a Verbania, a fine carriera, fu lì che
decisi di fare l'allenatore e di questo devo ringraziare il
presidente Quarestani al quale ero entrato in simpatia e mi aveva
chiesto di fare il secondo di Pedroni, pur continuando anche a fare
il giocatore. Anche a Verona, con Guidotti e Chiampan, ebbi un ottimo
rapporto con la dirigenza, tutto il contrario di quello che poi
avvenne all'Inter con Pellegrini, entrammo in contrasto perché
voleva fare lui la squadra e alla fine fui esonerato. Quella fu una
pessima esperienza, da lì decisi di abbandonare il calcio."
D
"Se glielo avessero chiesto, dopo l'esonero dall'Inter, il
Verona lo avrebbe allenato ancora?"
O
"No. Avevo deciso di smettere ed ho smesso. Il Verona comunque non
mi cercò più, nemmeno per altri ruoli. Solo l'attuale dirigenza
mi ha contattato per offrirmi gli abbonamenti di tribuna."
D
"Nato a Milano ma Verona nel suo destino, visto che ci è arrivato
giovanissimo come calciatore, ha sposato una veronese, ha allenato i
gialloblu per un intero decennio ed oggi continua a viverci. Cosa
ricorda della sua esperienza da giocatore nel primo Verona di serie
A?"
O
"Ho cominciato a giocare a calcio in squadra a 14 anni, nella
Trionfale, poi mi ha preso il Milan, due anni nelle giovanili e poi a
18 anni sono stato aggregato alla prima squadra, ho fatto 8 presenze
nel 1955-'56 e 10 presenze nel 1956-'57. A Verona venni in
prestito. Mi trovai subito bene, la squadra era all'altezza della
situazione, giocammo un gran girone di andata. Poi purtroppo presi la
pleurite e restai fuori diverse partite. Anche il libero Rosetta,
campione d'Italia con la Fiorentina, arrivato a Verona a fine
carriera, si infortunò e nel ritorno la squadra non riuscì più a
fare risultati utili perdendo posizioni finché arrivò la
retrocessione. Avevo 20 anni, fu una bella esperienza e finalmente
giocavo da titolare."
D
"A Verona tornò come allenatore, accettando di allenarlo in serie
B dopo aver portato alla promozione il Cesena."
O
"Si, quando arrivò l'offerta del Verona accettai subito senza
riserve. Avevo la famiglia a Verona e finalmente potevo smettere di
fare il pendolare. La società poi mi parve molto seria e infatti le
cose andarono subito bene. Vincemmo il campionato di B gettando le
basi per la squadra che tre anni dopo vinse lo scudetto."
D
"Come veniva costruita la squadra a quei tempi, era lei ad indicare
i giocatori da acquistare?"
O
"Facevo la squadra con Mascetti, eravamo sulla stessa lunghezza
d'onda, mi fidavo di lui. Si cercavano i giocatori migliori per il
ruolo ma, chiaramente, non sempre la società era in grado di
prenderli, però si prendevano dei buoni sostituti. Diciamo che la
società comunque era sempre disponibile nei limiti delle possibilità
e non mi imponeva nulla, al contrario di quello che poi mi successe a
Milano dove la squadra da mettere in campo la voleva fare il
presidente, e infatti non è durata. All'Inter il primo anno siamo
arrivati secondi dietro il grande Milan, il secondo anno mi hanno
esonerato con la squadra al quarto o quinto posto e in semifinale di
coppa Uefa, poi hanno avuto un tracollo e si sono salvati all'ultima
giornata."
D
"Società disponibile, ma quella volta che le "regalarono"
Dirceu lei non fu molto contento."
O
"La società comprò Dirceu senza che io lo sapessi, nel suo ruolo
avevo già Guidolin che era un buon giocatore e un'ottima persona.
Guidolin poi andò via a ottobre perché voleva, giustamente,
giocare. Dirceu fece il suo, ma restò solo un anno, buon giocatore
ma non era uno con cui potevi fare un progetto, infatti cambiò
squadra ogni anno che rimase in Italia."
D
"Ci sono stati giocatori che all'inizio non l'avevano
convinta?"
O
"Non ero convinto di Marangon all'inizio, girava voce che si
godesse un po' troppo la vita, invece si è dimostrato molto
professionale, sempre puntuale agli allenamenti e sempre molto valido
in campo.
D
"La nomea di personaggio sopra le righe ce l'aveva anche un certo
Preben. La "leggenda" narra che nell'intervallo di una partita
contro l'Inter (n.d.r. Verona – Inter 2-1 del 11/01/1987) lei si
presentò negli spogliatoi molto arrabbiato, non volava una mosca ma
mancava Elkjaer che, una volta scoperto in bagno a fumare dichiarò
che avrebbe fatto il gol della vittoria, cosa che poi in effetti
avvenne, ci conferma questo aneddoto? Di Preben cosa ci dice?"
O
"Sì sì, non mi ricordo che partita fosse ma l'episodio me lo
ricordo: non era nello spogliatoio con gli altri e qualcuno, forse il
massaggiatore, fece la spia dicendomi che era in bagno a fumare.
Elkjaer sembrava un po' pazzo, e magari fuori dal campo lo era
davvero, ma con me si è sempre dimostrato un grande professionista e
tecnicamente uno dei giocatori più forti che ho allenato."
D
"Ecco, mi ha anticipato la prossima domanda e forse ha anche già
dato la risposta: qual è il giocatore più bravo e talentuoso che ha
allenato?"
O
"Non le so rispondere perché non ho mai fatto questo ragionamento.
Ne ho avuti tanti di bravi, era importante che facessero bene in
campo ma anche fuori, perché se uno si comportava male poteva avere
i piedi migliori del mondo ma con me non durava. Di bravi ne ho
allenati tanti ma non ho mai pensato a chi fosse il più bravo tra
questi, è un concetto che non mi appartiene."
Ad
una domanda piuttosto scontata, quasi banale, la risposta di Bagnoli
è al contrario significativa della sua filosofia di gruppo, già
espressa più volte nel corso della chiacchierata ma qui raccolta in
poche battute: anche a tanti anni di distanza l'Osvaldo non se la
sente di sbilanciarsi, quasi ci fosse ancora il rischio di minare
l'armonia mettendo qualcuno al di sopra degli altri. Ma ci dice
anche altro, parla di etica, quella che spesso manca alle prime
donne, ai giocatori che pensano che il talento sia sufficiente e
quindi non si impegnano abbastanza in allenamento o nei rapporti con
i compagni. La concezione di gruppo che aveva Bagnoli non era
semplicemente quella di una squadra, con tutti i distinguo del caso
assomigliava più ad una famiglia allargata. L'Osvaldo che si trova
spiazzato nel trovarsi in rosa Dirceu, campione indiscusso e lusso
per una provinciale, perché lo costringe a mettere da parte
Guidolin, onesto giocatore ma certamente non all'altezza,
tecnicamente, del brasiliano, la dice lunga sulla sua mentalità. I
suoi erano rapporti familiari, andava a prendersi giocatori che aveva
già allenato e di cui si fidava, come Fontolan e Volpati, mettendoli
nella condizione di dare il meglio. Allo stesso modo riusciva a
ridare fiducia a giocatori sfiduciati da altri ambienti, come
l'emblematico Fanna. Insomma, prima che un grande sportivo era un
cesellatore di rapporti umani, un uomo carismatico suo malgrado che
sapeva farsi rispettare perché era lui per primo ad avere rispetto,
e perché, questo lo possiamo immaginare, non usava le parole a
sproposito. Dove Bagnoli è riuscito a creare l'ambiente giusto,
quel clima familiare di cui sopra, ha sempre fatto benissimo, dove
non lo hanno capito, come all'Inter, gli hanno fatto passare la
voglia di spendersi ancora in quel mondo che stava cambiando troppo
velocemente. Era venuto il momento di dedicarsi alla sua vera
famiglia e in questo commiato con cui si conclude l'intervista c'è
il sunto di tante altre cose, alla fine si torna da dove si è
partiti, i valori che lo hanno contraddistinto nello sport sono gli
stessi che ha appreso nella sua famiglia di origine. Non c'è
trucco, nessun segreto, è tutto, semplicemente, autentico, e scusate
se è poco.
D
"Dopo l'esonero dall'Inter non ha mai avuto nostalgia del
calcio?"
O
"No. Ho smesso a 59 anni, avrei potuto continuare ancora ma ho
scoperto che stavo bene a casa. Sono nato in una famiglia operaia,
mia mamma lavorava anche lei quando poteva, si andava avanti
accontentandosi, conosco il valore dei soldi e mi sono trovato ad un
certo punto che avevo abbastanza disponibilità per vivere
dignitosamente, quindi ho smesso. Non sono mai stato uno esoso, anche
quando ero giocatore non ero uno che andava a negoziare gli ingaggi,
prendevo quello che mi davano. Per qualche anno ho ricevuto ancora
offerte ma ormai avevo deciso. Sto bene a casa, con la mia famiglia.
Ho guadagnato molto in serenità."
Con
le domande potremmo continuare all'infinito, si affollano nella
mente nomi di giocatori, di squadre, di città, ma si è fatto tardi
ed è quasi ora di cena, quindi è venuto il momento di salutare
l'Osvaldo. Durante la chiacchierata mi ha confessato di avere
qualche problema di memoria negli ultimi tempi, di fare degli
esercizi per stimolarla e quindi si scusa se in qualche frangente non
è stato lucido. Mi dice anche di essersi sentito a suo agio in
questa lunga chiacchierata e questo, ovviamente, mi fa davvero
piacere. Scambiamo ancora qualche battuta, niente a che vedere con il
calcio, poi saluta tutti con una cortesia di altri tempi.
Lo
seguo con lo sguardo fuori dal sottopasso mentre attraversa il viale.
Trenta e passa anni dopo, non è cambiato nulla, continua ad essere
l'eroe antieroe che trasforma i sogni in realtà, e più passa il
tempo più questi sogni pesano, perché i sogni li puoi creare ogni
giorno, ma gli uomini che li realizzano no: quelli sono pochi,
nascono raramente e quasi mai passano da Verona. L'unico, per ora,
è stato lui.
Ringrazio
Osvaldo Bagnoli per la disponibilità e la fiducia; Chicco Guidotti,
Simonetta e tutta l'Associazione ex calciatori Hellas Verona per
l'opportunità che ci hanno offerto; i colleghi del "team" di
Hellastory che ho rappresentato in questa intervista, in particolare
Matteo che l'ha organizzata e che ci ha raggiunto nelle ultime
battute della chiacchierata.
Davide