Nassim Nicholas Taleb, filosofo e matematico libanese naturalizzato statunitense, è docente di Scienze dell'Incertezza al Polytechnic Institute dell'Università di New Yorke ad Oxford. Deve la sua fama internazionale anche alla saggistica e ad una fortunata produzione letteraria. Con il Cigno Nero, il testo più noto, offre una teoria piuttosto originale sull'andamento naturale delle cose. Lui è convinto che manie, epidemie, mode, idee, nascita di generi e scuole artistiche, finanza, economia, insomma tutti i fenomeni di rottura che si impongono spontaneamente seguano la dinamica del Cigno nero (*). Secondo il suo pensiero noi siamo portati a pianificare la vita come se fosse il prevedibile succedersi di cigni bianchi davanti a noi, agiamo pertanto come se fossimo sempre in grado di avere il controllo assoluto degli eventi, da quelli sentimentali a quelli storici, a quelli naturali. Il cigno nero, ovvero l'elemento di rottura,
sconvolgente e imprevedibile, rompe l'equilibrio che è in noi, ci manda in tilt, ci rende improvvisamente fragili. Questo è il salto dell'evoluzione.
La teoria, affascinante da molti punti di vista, non mi trova completamente d'accordo. Soprattutto quando Taleb si spinge a conclusioni audaci e (per me) sconvenienti come, ad esempio, la considerazione che nonostante il progresso della nostra conoscenza, il futuro sarà sempre meno prevedibile e che quindi, per vivere nel mondo d'oggi, è necessaria molta più immaginazione di quella di cui disponiamo. Talvolta può sembrare proprio così, ma preferisco mantenere l'illusione di essere in grado di distinguere e prevedere l'esistenza di un certo numero di cigni neri. E di essere in grado di affrontarli preparato.
C'è però un punto chiave che mi trova assolutamente concorde: gli esseri umani non saranno tanto proattivi, ma è fuor di dubbio che sono reattivi. Forse dovremmo limitare un pochino la sopravvalutazione che facciamo di noi stessi circa la nostra capacità di prevenire (il Torneo dei Pronostici è un
ottimo esempio, con tutto quel mix di fatalità, scaramanzia, sensitività spacciata per conoscenza del calcio che ci mettiamo dentro). Ma, allo stesso tempo, non dovremmo mai sottovalutare troppo la capacità singola e collettiva di reagire.
Il Verona, nella tensione nervosa del turno infrasettimanale, ha saputo reagire. Eccome.
Sorpreso dal cigno nero del gioco inconcludente delle partite precedenti, nascostosi dietro il cigno grigio (nient'altro che stupidi alibi) degli errori arbitrali, ha trovato la forza di rimettere a posto le cose, avvicinandosi addirittura alla zona playoff e offrendo prove degne di orgoglio.
I successi con Cittadella, Brescia e soprattutto Bari sono esemplificativi. Nonostante la componente (esogena, quindi inevitabile) della mediocrità arbitrale questa volta sono venuti sia i punti che le prestazioni. I piagnistei di Martinelli e Mandorlini si sono persi nel vuoto come era logico. A Cittadella abbiamo avuto un arbitro che, dopo aver concesso il calcio di rigore (sacrosanto, per carità) ha prima espulso Abbate e poi ammonito Rafael. Un po' troppo, non vi pare? Eppure la squadra ha trovato in sé la forza per mettere sotto gli avversari, capovolgere il risultato e resistere per tutto il secondo tempo in inferiorità numerica. E' curioso notare le
similitudini con la partita di Castellamare: stessa cattiveria, stessa personalità, stessi realizzatori, stessi uomini in campo. Togli Galli (infortunato) e metti D'Alessandro. Vuoi vedere che limitando la sperimentazione e seguendo strade già battute si corrono meno rischi?
Anche contro il Brescia è stato clamoroso il rigore negato a D'Alessandro, quello che ci avrebbe consentito di sbloccare una partita fino a quel momento in equilibrio assoluto. Eppure il Verona non si è accontentato (indice di maturità), ci ha creduto, è stato attento a non prendere gol e alla fine ce l'ha fatta. È stato il jolly pescato da Pichlmann a pochi minuti dal termine a sconquassare tutto. Pichlmann, molto più protagonista della Cripta dei Cappuccini che della saga dei Nibelunghi, così austriaco nella sua eleganza e natura malinconica, era il giocatore meno prevedibile a calciare in porta in quel modo. Eppure il
sigillo a quel successo e al relativo distacco in classifica, lo ha posto proprio lui dopo tanta delusione e panchina. E' stato lui il classico cigno nero per i bresciani.
Ecco, al termine di quella partita mi sarebbe piaciuto che Presidente e Mister avessero sparato a zero contro la classe arbitrale: da vincenti non da perdenti. Non solo avrebbero avuto a loro disposizione una lista ancora più lunga di errori da elencare, ma lo avrebbero fatto con sarcasmo, un pizzico di strafottenza, accreditandosi in questo modo la simpatia di tutti. Arbitri compresi. Della serie: oramai siamo così abituati agli arbitraggi contro di noi, che li mettiamo in conto e abbiamo imparato persino a vincerci sopra. Stupendo e maestoso: il cigno grigio, fatto passare per nero, che agli occhi del Verona diventa bianco. E chi ci ammazza più!
Difatti a Bari si è completato lo spettacolo. Qui non ho niente da rilevare all'arbitro, ho visto solo tanto, ma tanto, Verona. Sicuro di sé nel primo tempo, travolgente nella ripresa. Sembrava che fossimo noi a giocare in casa, mica i pugliesi. Eppure questa trasferta era infida: era la prima volta,
dall'inizio del Campionato, che i gialloblu affrontavano in trasferta una squadra in possesso di un certo tasso tecnico. Finora ci eravamo misurati con Pescara, Sassuolo, Sampdoria, Padova e Torino ma sempre al Bentegodi. Bari rappresentava dunque un duplice test: misurare la tenuta (e personalità) in campo avverso e verificare se i successi precedenti avessero saziato o meno i gialloblu. Esame superato in pieno.
Come sostiene Fugnoli l'allarme rosso aumenta la produzione di adrenalina e risveglia l'istinto di sopravvivenza dell'homo biologicus. Ed è bene chiarire che la reazione gialloblu, imperiosa, è avvenuta senza troppi stravolgimenti. I giocatori a disposizione sono sempre gli stessi, il modulo anche. L'atteggiamento no. Mi chiedo cosa sarebbe potuto accadere se a Gubbio, ad esempio, avessimo giocato con la stessa cattiveria di Cittadella. Incontravamo una squadra in crisi, un allenatore in bilico, un avversario senza troppa esperienza; mentre
invece in veneto avevamo di fronte la formazione che aveva fermato a Genova la Sampdoria e che voleva regalare un nuovo risultato prestigioso ai propri tifosi vincendo il derby. Diciamolo chiaramente, Mandorlini non ha preparato con la stessa intensità i due turni infrasettimanali. Forse allora temeva di stancare troppo i giocatori e ha pensato di risparmiarsi per Samp e Torino. Ma l'eccesso di calcoli ha fatto
sì che giocassimo bene una sola partita (con la Samp) lasciando a desiderare le altre due e incassato solo 2 punti. L'emergenza di gioco e risultati ha fatto sì invece che adesso il Verona conquistasse 9 punti contro avversari in forma (Cittadella e Bari) oppure disperati (Brescia).
Cosa accadrà adesso? La logica del cigno bianco prevedrebbe che il Verona abbia risolto i propri problemi e Mandorlini trovato la soluzione esatta per contrastare efficacemente qualunque avversario. Ma non mi fido. Come non eravamo (forse) così gravemente ammalati prima, non siamo oggi ancora l'espressione assoluta del calcio vincente. Siamo solo alla 14° giornata, mi aspetto cigni neri ovunque, come nella logica delle cose. Oggi possiamo solo dire di aver risolto i problemi che si sono presentati ad ottobre, e non è poco.
Del resto, il successo finale non viene mica dalla capacità di scansare pericoli e difficoltà, ma di reagire e superarli. Saper opporre la robustezza alla fragilità, come dice Nassim Taleb. Proprio come è accaduto l'anno scorso: in autunno, a pochi punti dai playout, tra possibili cessioni societarie, problemi di salute del Presidente, giocatori tramortiti, tecnico (Giannini) in confusione e in primavera lanciati vigorosamente
verso i playoff. Questa è la bella notizia odierna che dobbiamo conservare nei momenti bui: il Verona e il suo allenatore hanno cuore, forza, coraggio. E il cigno nero è un'affascinante sfida da cogliere.
Massimo
(*) l'origine del titolo nasce dalla scoperta avvenuta in Australia dell'esistenza di una razza di cigni completamente nera. Non tutti nascono bianchi e candidi dunque, come si credeva. Ce ne sono altri, del colore opposto, ancora più sconvolgenti per bellezza e distinzione. La natura che si nega.
Colonna sonora: verrebbe naturale proporre un brano del Lago dei Cigni di Tchaikovsky, ma quella è una drammatica storia d'amore. Non c'entra niente. Mi viene in aiuto David Sylvian con The Shining of Thing trattoda Deed Bees on a Cake. Bellissimo (e appropriato) il testo di ispirazione dell' album: if we make a poem of celebration, it has to include a lot of darkness for it to be real (Robert Hass).