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HELLAS VERONA

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Hellas Verona english presentation

HELLAS VERONA / Canone Inverso

MA IL VERONA E' PRONTO PER LA SERIE A?


MA IL VERONA E' PRONTO PER LA SERIE A?

Il Verona fa bene il suo compito battendo Ascoli e Gubbio e si attesta in una posizione di classifica fasulla però a causa dei troppi recuperi in ballo. E allora, senza avere un valido riferimento, mi porto avanti. L'occasione è la sosta di campionato che mi obbliga a sostituire l'adrenalina della gara con la frenesia dell'immaginazione. Lo spunto è la conclusione del secondo terzo di stagione con il Verona in ogni caso saldamente ancorato ai playoff. La domanda che mi pongo dunque è se la nostra squadra, così come è oggi più il contributo di un certo numero di rinforzi adeguati (e compatibili alle capacità economiche di Martinelli), è o sarebbe pronta per affrontare la serie A? e cosa dovrebbe fare per esserlo, eventualmente? Lo so, neppure ho la certezza di esserci arrivato a questa benedetta serie A che già ho una paura incredibile di perderla. Sarò scusato per la sfrontatezza: fa tutto parte dell'inquietudine del tifoso. La fantasia è gratis, come l'emozione in campo.

Prima di esprimere la mia opinione, ci sono un paio di convinzioni che voglio condividere e che sono alla base della mia riflessione.

Primo, la Lega Pro fa bene alla serie B. Toglie boria ai giocatori (e ai dirigenti), innesca i sani principi sportivi secondo i quali l'agonismo riduce il differenziale tecnico e l'organizzazione di gioco sopperisce alle carenze individuali. Guardiamo il nostro caso: fintanto che l'Hellas si credeva capitato lì per caso come un ospite inatteso e fuori ruolo, al quale tutto gli fosse dovuto, non ha combinato niente di buono. Solo quando ha recuperato umiltà, pazienza e voglia di riscatto è uscito fuori il potenziale che aveva dentro e che aveva dimenticato da qualche parte. Ci sono voluti però anni difficili, contrasti interni, un passaggio di proprietà, accumulo di umiliazione e delusioni. Il processo, iniziato con la salvezza in extremis di Pellegrini, è stato lungo e difficile e risolto solo grazie all'apporto decisivo di gente di qualità superiore come Previdi, Gibellini e Mandorlini.

Non solo, la Lega Pro è obbligata a lanciare una serie incredibile di giocatori in quanto, avendo pochi mezzi a disposizione, costringe le società ad osare di più con i giovani e a rivitalizzare calciatori maturi, non ancora troppo logori, che cercano nuove motivazioni e responsabilità. Il cambio di mentalità è figlio anche del profondo mutamento della rosa: ai perdenti - molli, stanchi e senza più stimoli - subentrano nuovi leoni.

Non è un caso infatti che ci siano realtà come Cesena e Novara che sono riuscite a fare il doppio salto di categoria. Ma se allarghiamo il colpo d'occhio notiamo che il virtuosismo è abbastanza diffuso perché lo spirito vincente guida le promosse anche gli anni successivi (Varese, Padova, Pescara). Pur con i loro limiti, persino squadre in oggettiva difficoltà come Gubbio e Nocerina lotteranno fino all'ultimo pur di salvarsi. In conclusione, tra società reattive che hanno scontato il purgatorio della serie C e società in declino (Vicenza, Modena, Empoli, Ascoli) non c'è confronto.

Secondo: se è vero che c'è una continuità tra i due campionati e il dislivello tecnico non è insuperabile, lo stesso non vale con la serie A. La massima serie non si improvvisa e non basta l'agonismo per colmare un divario veramente enorme: puoi essere il più forte di tutti in serie B ma in A non si combatte più corpo a corpo con la fanteria e la cavalleria, ma con la tecnologia dell'aviazione e dell'artiglieria. Il Novara corre il rischio di concludere presto la sua brevissima esperienza nella massima serie. Avrà il conforto di aver battuto due volte l'Inter, ma sente il peso della sua inadeguatezza. Il Cesena, salvatosi lo scorso anno, quest'anno è destinato a seguirlo a meno di una serie di miracoli di Mutu, unico giocatore in grado di reggere il confronto. Una volta in B, il rischio di queste società è quello di fare poi la fine verticale del Treviso, ubriacate dalle meritate promozioni e stordite dal continuo cambiamento di categoria, avversari e giocatori. A quale campionato si sentono più adatti? Sapranno reagire immediatamente alla retrocessione?

Ci sono poi altre società che un anno giocano in A, un altro in B. Sono troppo deboli per riuscire a salvarsi, ma troppo forti per restare tra i cadetti. Il Lecce di turno, fintanto che trova giovani talenti stranieri, potrà vincere campionati in seconda serie, ma se poi non li trattiene e neppure ci abbina elementi di provata esperienza non potrà far altro che retrocedere. L'impressione che ho è che faccia il mercato straniero più per rientrare dei propri soldi che per difendere la promozione.

In merito ai calciatori, poi, ho un'idea abbastanza precisa: non è detto che i giocatori di A, per il fatto stesso che ci giocano, siano sempre e solo i più forti in assoluto. Gran parte delle volte è così, ci mancherebbe altro, ma molto dipende dall'ambiente in cui si trovano. Perchè la serie A è un club esclusivo pieno di bella gente e belle donne. Anche tu, se ci credi un pochino, potresti sentirti adatto a starci. Cossu, ad esempio, a Verona non riusciva a battere un calcio d'angolo, pochi mesi dopo a Cagliari è diventato un elemento insostituibile. Quale dei due è quello vero? La piccola ala insulsa che Ficcadenti si ostinava a tenere largo e che non riusciva mai a saltare l'uomo oppure il trequartista che oggi tiene insieme il gioco dei sardi?

Uno come Hallfredsson sarebbe titolare in qualunque squadra che lotta per un posto UEFA, eppure è ripartito dalla Lega Pro, si è messo in discussione, continua a crescere partita dopo partita e a tirare fuori il suo enorme potenziale. A Reggio Calabria neppure se lo ricordano così. Credo che anche Rafael non sfigurerebbe nel calcio che conta. La differenza, dunque, sta nella mentalità non (solo) nella tecnica. Ad esempio, l'attuale Sampdoria, che ancora non si è adattata alla retrocessione e fatica a conquistare un posto tra i playoff, a mio avviso giocherebbe oggi un campionato tranquillo in A, sgombra definitivamente da Cassano e Pazzini. Ecco perchè ci sono società appena retrocesse (l'Atalanta e il Siena) che cercano di non snaturarsi troppo quando scendono in B. Mantenendo l'ossatura della retrocessione, sperano di essere nuovamente pronte in caso di immediata promozione. Se riescono a recuperare in fretta, come è capitato spesso al Chievo, sono destinate poi a giocare buoni campionati in A; se invece gli va male, vanno in crisi e restano tra i cadetti per anni come è capitato a Torino, Brescia, Bari e Livorno. Che poi è anche la storia dell'Hellas di Pastorello, con la differenza che lui era pieno di debiti e non aveva più la forza di rialzarsi. Ma neppure di vendere ... visti gli interessi che si era creato intorno al suo giocattolo.

L'abisso è incredibile. Pensate un attimo al Verona in Coppa Italia con la Lazio: passa tutto il primo tempo a controllare gli avversari, va sotto di due gol, ma a questo punto comincia ad osare, corre e gioca con la spregiudicatezza che ha imparato in Lega Pro e sorprende i padroni di casa ristabilendo il risultato. Ma è bastata una bellissima punizione di Hernanes, fino a quel momento ininfluente in campo, all'ultimo minuto di gioco, per condannarci all'eliminazione. La punizione è venuta da un fallo forse evitabile da parte di uno dei nostri giocatori più esperti (Ceccarelli) e il tiro è lo stesso micidiale che aveva già condannato l'Inter in campionato su quel campo. Questa è la serie A: la differenza tra noi e i laziali l'hanno fatta essenzialmente l'ingenuità (che è propria di chi è abituato a giocare in categorie inferiori) e il gesto tecnico (che è proprio di un giocatore di classe), non certo la grinta e l'organizzazione dei gialloblu.

A questo punto, riprendo la domanda iniziale. Se dovesse arrivare la tanto agognata promozione, cosa e quanto dovrebbe cambiare il Verona per fare un campionato decente in serie A?

Come detto, gli unici gialloblu che non sfigurerebbero contro Milan, Inter, Juve ma anche Cagliari, Fiorentina e Genoa sono: Rafael e Hallfredsson, ma ci aggiungo anche Maietta (scuola Juve) e Tachtsidis (che però non è nostro). Abbate, Mareco, Jorginho, Esposito, Gomez e Ferrari possono essere buoni ricambi, giocatori da 20 minuti a partita o 20 gare da titolari, ma niente di più. Per reggere la forza d'urto di un campionato completamente differente e incredibilmente più difficile occorre importare 7/8 giocatori. Occorre insomma una vera e propria rivoluzione. Se si dovesse insistere su questo gruppo, grazie al convincimento dei successi di Lega Pro e di B, non avremmo scampo. Questo indipendentemente dalle capacità di Mandorlini.

L'esempio migliore che ho di fronte è quello del Catania. Leggendo la composizione della sua rosa si trova qualche giocatore di esperienza (Legrottaglie, Capuano e Almiron), ma una quantità di sudamericani di valore (Bergessio, Gomez, Izco, Barrientos) capaci di adattarsi rapidamente al nostro campionato. Mescolano entusiasmo e talento. Hanno la fame e la grinta giusta. Gibellini, o chi per lui, dovrebbe trovare nuovi Camoranesi e Hallfredsson. Il Verona non può permettersi ingaggi faraonici e neppure dipendere da giocatori riciclati, in cerca di riscatto. Scordiamoci pure i prestiti di giovani dall'Inter e dal Genoa una volta che siamo diventati avversari diretti. I migliori se li tengono per sé.

La nostra forza deve essere tutta nella capacità di cambiare rapidamente pelle, scordandoci le glorie del recente passato e reinventando un nuovo Verona affamato e desideroso di lasciare il segno. Lo spirito della rinascita lo deve dare ancora una volta il gruppo; ma la classe e la mentalità giusta le dobbiamo saper cercare nei posti giusti.

Massimo

Colonna sonora: O grande amor, con Ryuichi Sakamoto al piano (quello di Joao Gilberto) e i due Morelenbaum, violoncello e voce. Di Joao Gilberto.

Hellastory, 20/02/2012
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LA GUERRA DI TRINCEA HA FUNZIONATO


Il confronto diretto del Verona con l'Empoli è la sintesi di questo girone di ritorno. Una squadra rognosa la nostra, difficile da affrontare, disposta a concedere pochissimo all'avversario di turno. Sulla salvezza, onestamente, ero abbastanza sereno. Troppe combinazioni negative si sarebbero dovute verificare contemporaneamente. Ma vincere ad Empoli non l'avevo proprio messo in conto. Sogliano conquista la sua terza salvezza consecutiva. Era stato chiaro, durante la settimana: mentre altri fanno le celebrazioni per lo storico scudetto (che Dio benedica quegli eroi!), e altri ancora si lasciano andare a fantasie intorno ad un nuovo stadio (a questo punto, ipotizzo di proprietà), noi dobbiamo pensare unicamente alla salvezza. E non è affatto vero che tutto, nel mondo del calcio, sia scontato o già scritto in partenza: la Lazio, che aveva imposto il pareggio all'Inter in casa sua, non è riuscita a battere il Lecce all'Olimpico pur giocando un tempo intero in superiorità numerica. Perdendo, di conseguenza, anche l'opportunità di un piazzamento nelle coppe europee. Per non parlare del tracollo interno dell'Atalanta, evidentemente sazia, ad opera del Parma capace di fermare prima il Napoli campione d'Italia e di ribaltare il risultato a Bergamo nel secondo tempo. Ma anche il successo dei nostri ragazzi ha dell'incredibile vista la stanchezza emotiva con la quale sono arrivati a giocarsi la partita.

[continua]

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