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PROSSIMO IMPEGNO
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Il calcio moderno, che per una squadra come la nostra ha essenzialmente l'obiettivo di difendere la serie A, lascia poco spazio al romanticismo. Ha perfettamente ragione Davide quando si vede costretto a vivere alla giornata, senza più quei riferimenti affettivi che possano essere identificati come stabili e rassicuranti. In questo contesto, la gaffe societaria di San Siro all'indomani della scomparsa di una bandiera assoluta come Ciccio Mascetti fa il paio con la sbrigativa chiusura del Presidente alcuni giorni dopo (Ci siamo scusati, non doveva accadere. Ora basta, però). Il fatto è che questo non è più il Verona di Mondadori, Garonzi, Guidotti, Chiampan, Arvedi o Martinelli e ce ne siamo accorti. Anche perché, volgendo lo sguardo altrove, facciamo fatica a riconoscere proprietà tifose o trovare giocatori simboli che, in scadenza contrattuale, scelgono poi di rinnovare a prescindere (da Dzeko a Roma a Donnarumma a Milano sponda Milan, da Perisic sponda Inter a Insigne a Napoli). Eppure, in questo freddo processo di spersonalizzazione aziendale, dobbiamo prendere atto - nostro malgrado - sia dell'assenza colpevole di capitale veronese sia del fatto che Setti, senza troppi mezzi a sua disposizione, ci iscrive per il quarto anno consecutivo al salotto buono del calcio nazionale. Dopo l'epoca Bagnoli (ecco un altro massimo simbolo gialloblu), questo è il periodo non solo più longevo ma anche quello migliore in termini di risultati sportivi: piazzamento, punti, reti fatte, spettacolo prodotto. Per non parlare della recente convocazione in Nazionale di Caprari e Cancellieri e del suo incredibile esordio 35 anni dopo (incredibile, vista l'età e la fiducia ricevuta da Mancini e invece negata da Tudor) dopo l'ultima apparizione di un gialloblu in maglia azzurra (Italia - Argentina 3-1 del 10 giugno 1987). Ripeto, 35 anni dopo. Un giorno, più in là, non ci vergogneremo di identificarlo come il regno di Setti, mettendo da parte sia le origini che il continuo turnover tecnico e dirigenziale che sta imponendo.
Lasciando da parte il discorso multiproprietà, nel quale ci siamo addentrati a lungo, non c'è alcun dubbio che l'addio di D'Amico abbia concluso il terzo ciclo dell'epoca Setti. Sicuramente il più prolifico. In estrema sintesi, si possono facilmente riconoscere i due precedenti nell'epoca Mandorlini e il ritorno in A (2012-2016) e in quella in chiaroscuro di Pecchia e Fusco con le note difficoltà economiche da dover gestire (2016 - 2018). D'Amico, in 4 stagioni, ci ha riportato in A e dato stabilità nei 3 campionati successivi.
A questo punto dell'anno però, immancabilmente, il tifoso romantico che è in ciascuno di noi si trova nuovamente spiazzato perché vengono a mancare tutti i riferimenti operativi (Tudor in campo, D'Amico in tribuna) e anche perché è scontato che verranno venduti i migliori giocatori valorizzati quest'anno. Tra l'altro, motivo principe per far emergere i dubbi a Tudor a voler proseguire, visto che non ci sono più le condizioni... Condizioni che detta il Re che conosce quanto è sottile il suo portafoglio, ma anche quanto valgono sul mercato i suoi gioielli. E se Tudor non si è convinto, in giro si può trovare comunque chi è disposto ad esserlo. Del resto, chi era Juric prima di venire a Verona? E Tudor stesso non veniva forse da un ruolo marginale nella Juventus? Il Verona non sta valorizzando solo giocatori.
Passiamo un attimo al film del campionato. Per chi, come me, ha avuto la fortuna di godersi più stagioni del Verona e mettendo ovviamente da parte il periodo di massimo splendore che è culminato con lo scudetto, non c'è alcun dubbio che lo show offerto dai nostri 3 moschettieri là davanti rimarrà impresso a lungo. Caprari - Simeone - Barak hanno espresso il più alto potenziale tecnico e spettacolare che potevamo mai immaginare. E, se è vero che il calcio è una forma di arte popolare e il gol il suo compimento emotivo, l'obiettivo finale, quello che abbiamo visto all'opera quest'anno, ci ripaga di tanto grigiore passato e, in un certo senso, ci potrebbe mettere a riparo anche dalle incertezze future. Molto probabilmente i nostri eroi verranno ceduti in difesa della causa societaria e non avremo quindi alcuna possibilità di blindarli e riproporre in futuro un tale potenziale offensivo. Ma questo fa parte della vita. Si sono divertiti insieme, ma loro stessi sentono ora il bisogno di misurarsi con nuovi palcoscenici e mettersi nuovamente alla prova. Sono loro stessi che vogliono alzare l'asticella. L'Hellas è stato la loro rampa di lancio, altrove hanno bisogno di confermarsi. Vivere la frustrazione di un Verona che non riesce a capitalizzare tanto valore vuol dire non rendersi conto della differenza patrimoniale rispetto alle prime 8 società che ci precedono in classifica e neppure dello spreco che ha condannato Parma, Brescia, Cagliari e Genoa.
Il calcio è cambiato. Non c'è dubbio. Abbiamo perso la rassicurante confidenza verso certi giocatori e dirigenti e la stabilità che portano con sé per subire il nuovo (e alle volte destabilizzante) concetto opposto della discontinuità, nella quale chi arriva accetta il confronto e sa di aver poco tempo a disposizione per farsi apprezzare. La discontinuità come stimolo a fare nuovamente la storia, laddove ce n'è stata una (bellissima) da raccontare. Una bella sfida, dunque. Per questo, è necessario dare subito il massimo, o si verrà spazzati via dalla critica e dai tifosi mettendo a repentaglio anche le proprie prospettive professionali. Mors tua, vita mea. Come è accaduto a Di Francesco.
Cioffi e Marroccu sono dunque le nuove scommesse del Presidente, hanno accettato la sfida pur sapendo non solo i limiti economici e il pesante turnover che li aspetta, ma anche le aspettative consolidate che devono difendere. Può sembrare sorprendente che Cioffi abbia visto in Setti e nel Verona prospettive migliori rispetto ad Udine, mentre capisco Marroccu e l'opportunità di rivedere la serie A dopo i playoff falliti con il Brescia. Verona, in definitiva, al di là delle nostre fragilità emotive è, a livello professionale, anche un polo di attrazione.
Ecco perché l'unica risposta che ho da dare a me, a Davide e a tutti noi tifosi appassionati, è questa continua rigenerazione di valori e opportunità che offre il Verona stesso. Non ci saranno più, molto probabilmente, gli splendidi Casale, Ilic, Tameze, Barak e Simeone a difenderci ma impareremo a conoscere finalmente le capacità di Cancellieri, Hongla, Piccoli e chissà chi altro ancora. E poi, finiremo persino per renderci conto che in fondo i vari Faraoni, Lazovic, Caprari, Dawidowicz, Montipò e Ceccherini sono le nostre bandiere di oggi. Li avevamo davanti ai nostri occhi anche prima ma, come spesso accade, il presente è sempre più difficile da riconoscere.
Massimo
Colonna sonora: Homesick, Kings of Convenience
Lazio e Torino, che peraltro sono formazioni superiori, hanno evidenziato un tema già affrontato durante l'estate: la difesa. È innegabile che Sogliano abbia lavorato con maggiore attenzione alla scoperta prima e all'arrivo poi di giocatori di qualità a centrocampo e in attacco, in ottica plusvalenze. E si vede. Ogni partita scopriamo un gesto tecnico superiore alla media da parte di Harroui, Kastanos, Tengstedt, e perfino di Livramento e Mosquera. Altri ne arriveranno da nuovi giocatori che al momento non conosciamo bene perché si stanno ancora integrando. Per non parlare dell'evoluzione esponenziale di Belahyane che creerà non pochi, ma piacevoli, problemi di turnover al mister al rientro di Duda e Serdar. Sulla difesa invece non si è lavorato. O non abbastanza. Gli arrivi nel finale di Daniliuc e Bradaric non sembrano decisivi in un reparto dove Frese e Okou faticano ad adattarsi al livello del nostro campionato. E neppure i ritorni di Faraoni (bloccato a Verona solo a causa di un ingaggio pesante) e Ghilardi (mai veramente preso in considerazione) sembrano essere un valore aggiunto.
[continua]Qual è stato il miglior gialloblu in campo in
H.Verona-Venezia?
Riepilogo stagionale e classifica generale
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