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Introduzione | Giornate 1-2 | 3-4 | L'Alluvione di Firenze | 6-7 | 8-9 | Rec.5 | Rit.1-2-3 | 4-5-6 | 7-8 | 9 | Semifinale | Finale

L'Alluvione di Firenze

UN PAESE FRAGILE - IL DRAMMA DELL'ALLUVIONE

Che l'Italia sia un paese fragile, con la consapevolezza acquisita dopo decenni di disastrosi eventi di alluvioni e dissesti idrogeologici, è cosa nota.

L'Italia che andò a dormire la notte del 3 novembre 1966 ne era un po' meno consapevole.

L'alba del 4 novembre 1966 sveglia mezza Italia con la violenza di una sferzata in pieno volto, costringendo migliaia di famiglie a mettersi in salvo dalla furia distruttrice delle acque dei fiumi uscite dagli alvei. È il giorno che passerà alla storia per la tristemente nota alluvione di Firenze del 1966.

Ma non è solo Firenze a fare i conti con l'alluvione. Le regioni più colpite sono quelle del Nord-Est e del Centro, dove alle inondazioni si sommano numerose frane che rendono necessaria la chiusura di diverse arterie stradali e ferroviarie. L'Italia è divisa in due, titolano i quotidiani.

La Stampa racconta la devastazione

Gonfiati da piogge incessanti da giorni, in alcuni casi anche da più di 70 ore, i fiumi del Triveneto e della Toscana, in particolare, riversano fuori dagli alvei milioni di metri cubi d'acqua, sorprendendo una popolazione che non era stata allertata e che si mette in salvo come può. Fra le vittime dell'alluvione si contano anche persone che, dopo aver messo al sicuro la famiglia ai piani superiori, sono scese nuovamente nei pianterreni allagati per cercare di salvare gli animali domestici, o i beni più preziosi.

Le prime avvisaglie del dramma si hanno nella vallata della Valdarno dove, già verso mezzanotte, gli affluenti minori dell'Arno, ingrossati dalle piene, cominciano a invadere i primi centri abitati, colpendo Incisa, Reggello, Figline, e i centri limitrofi. Reggello paga il più alto prezzo di vite umane a causa di una frana che si riversa sul borgo Le Lastre, facendo 7 vittime, e ostruendo il letto del torrente Resco, che completa l'opera di distruzione. Già nelle prime ore dell'alba alcune zone sono completamente isolate sia per via delle comunicazioni telefoniche saltate, sia perché le strade sono interrotte da frane o invase dalle acque. La linea ferroviaria Firenze - Roma e l'autostrada sono inagibili.

La piena dell'Arno, aggravata dall'afflusso dei torrenti stracolmi, procede minacciosa verso Firenze, e attorno alle 5 del mattino straripa dalle spallette del Lungarno alle Grazie, una zona centrale della città fra Ponte Vecchio e la Torre della Zucca. Di fronte, le acque incontrano per prime, nel loro cammino di distruzione, la Biblioteca Nazionale e la chiesa di Santa Croce.

Leggiamo il dispaccio Ansa delle ore 14.51 del 4 novembre 1966, tratto da "Firenze 1966 - L'alluvione, di Franco Mariani e Mattia Lattanzi: "Tutto il centro storico di Firenze è allagato: l'acqua ha un'altezza che va da 20 cm a un metro e mezzo. Continua a piovere e i mezzi di soccorso non riescono a raggiungere la città a causa delle interruzioni stradali."

Il Triveneto ha fatto i conti con l'alluvione anche l'autunno precedente ma, questa volta, alle precipitazioni eccezionali del mese di ottobre, si aggiunge il fenomeno dell'aumento di temperatura che fa sciogliere parte del manto nevoso accumulato sui bacini del Piave e dell'Adige.

Piazza San Marco invasa dalle acque
Piazza San Marco invasa dalle acque, foto da meteolive.it

A Venezia, il 4 novembre 1966 l'acqua alta ha raggiunto il livello di 194 cm, valore ad oggi mai più eguagliato. I veneziani sono abituati all'acqua alta, ma quando la situazione è difficile si arriva in genere a 130 cm: questa è invece acqua granda, una vera e propria catastrofe. L'acqua invade negozi, abitazioni, ristoranti, e attività di ogni tipo. Dopo quell'incredibile acqua alta, sono in molti a maturare la decisione di lasciare per sempre Venezia. Gli abitanti, prima di quel 4 novembre 1966, erano quasi 150.000 mila, in poco tempo scenderanno a 50.000 circa, numeri che la città lagunare ha poi mantenuto nel corso degli anni. Le principali attività si trasferiranno alla terraferma (tra le altre, si trasferiscono via da Venezia le assicurazioni Generali), lasciando la città al suo destino di sola meta turistica.

Pesante anche la situazione nel Vicentino, dove in particolare vengono colpite dall'alluvione la vallata del Brenta e la Valdastico. Il Bacchiglione in piena raggiunge 6 metri oltre il livello normale e insidia la città di Vicenza. Le precipitazioni del solo giorno 4 novembre 1966 sono pari a 100-120 mm di pioggia, la quantità che normalmente cade in un mese.

Anche Padova non viene risparmiata, Piovego e il Brentelle in piena minacciano il centro città. A Lisiera 150 passeggeri del treno vengono salvati in prossimità del ponte crollato.

Il Gazzettino parla del bilancio della tragedia

Verona e la sua provincia sono più fortunate. La città di Verona ha pagato il suo dazio nel 1882, quando a metà settembre l'Adige in piena travolse Ponte Nuovo e allagò due terzi della città. Ancora oggi, in vari punti di Verona, si possono trovare le lapidi che testimoniano l'altezza raggiunta dalle acque in quei giorni di tragedia. Dopo di allora, diversi interventi furono fatti per mettere Verona in sicurezza, a partire dall'interramento di alcuni rami "diversivi" dell'Adige, fra cui quello cosiddetto dell'Acqua Morta, che creava l'Isolo di San Tommaso. Quella che appare ai nostri occhi oggi è una città in parte diversa da quella dell'Ottocento, di cui rimangono ampie tracce nella toponomastica.

Nel 1966 Verona viene risparmiata dalla piena, che aveva già scaricato parte della sua furia sul centro di Trento.

Nei giorni successivi, mentre ancora si lavora per spazzare via il fango dai paesi colpiti e per cercare di tornare alla normalità, si fa la conta dei danni. Il bilancio è tremendo. Per quanto riguarda il Triveneto ci affidiamo ai dati Polaris, Popolazione a Rischio da Frana e da Inondazione in Italia:

"Nelle regioni settentrionali i morti furono 87, in 9 province (6 a Bolzano, 26 a Trento, 26 a Belluno, 2 a Treviso, 3 a Venezia, 5 a Vicenza, 14 a Udine, 4 a Pordenone e 1 a Brescia). Gli sfollati furono oltre 42.000, di cui 25.800 in Veneto, 15.800 in Friuli-Venezia Giulia, 800 in Emilia-Romagna e oltre 400 in Trentino-Alto Adige. In Pianura Padana e nella Pianura Veneta furono inondati almeno 137 kmq di territorio, e furono riportati danni in almeno 209 Comuni. Solo in Provincia di Belluno furono danneggiati o distrutti 4300 edifici, 528 ponti e 1.346 strade."

Con uno scenario del genere, improponibile anche solo di pensare a giocare a calcio. Il campionato Primavera, la cui quinta giornata è in programma domenica 6 novembre 1966, viene sospeso. Non così il campionato di serie A, dove viene rinviata solo la gara Fiorentina - Vicenza, per la drammatica situazione del capoluogo toscano, dove è quasi impossibile avere dei contatti e notizie certe essendo saltate anche le linee telefoniche. Paradossale la situazione nel girone B della serie C, dove è in programma Empoli - Carrarese. Il terreno del Castellani è completamente invaso dall'acqua, come buona parte della città. La Carrarese non riesce a mettersi in contatto con la società di casa e quindi decide di raggiungere Pisa il sabato, per verificare poi la possibilità di continuare, con "mezzi di fortuna", verso la cittadina empolese. La partita sarà infine sospesa.

FIRENZE CITTA' - SIMBOLO

La città simbolo di quei drammatici giorni diventa Firenze. Il capoluogo toscano paga un prezzo altissimo di vite umane, con numeri che ancora oggi, a distanza di 50 anni, non sono certi. Le cifre ufficiali diffuse dalla Procura della Repubblica il 2 dicembre 1966 parlano di 39 vittime nella Provincia di Firenze. L'Ispettore regionale dei Vigili del Fuoco, nel marzo 1967, quantifica 16 morti in città e 17 in provincia. I numeri sono variabili anche perché non è facile associare i decessi in città direttamente all'alluvione. Firenze è spaccata in 2: una zona completamente sommersa da acqua e fango, una parte dove l'acqua non è arrivata ma gli effetti sono interruzione di servizio elettrico e mancanza di acqua potabile.

Ponte Vecchio sommerso dalle acque
Ponte Vecchio sommerso dalle acque, foto tratta da Firenze-online.com

Il 4 novembre è la festa delle Forze Armate: mentre i politici sono impegnati nelle varie parate, il sindaco di Firenze Pietro Bargellini lancia un disperato appello. Le televisioni si occupano delle cerimonie e relegano il disastro di Firenze a servizi marginali. Tuttavia, non appena diventa chiara la magnitudine dell'evento, da tutta Italia e anche dal resto del mondo si assiste ad una mobilitazione generale per portare aiuto alla città.

Migliaia di volontari raggiungono Firenze da ogni dove, per aiutare i residenti a pulire le strade e gli edifici dal fango. Diventeranno noti come "gli angeli del fango". Inestimabile il valore delle opere d'arte e del patrimonio librario andato perduto o danneggiato a causa del fango impregnato di nafta, che all'epoca era il combustibile più diffuso. La Biblioteca Nazionale, il centro più fornito a parte quello di Roma, viene invasa dal fango. Si stima che nei sotterranei siano stipati oltre 24.000 manoscritti. Lo scenario che si apre davanti agli occhi dei volontari è apocalittico, i mobili sono sventrati e sbattuti ovunque. Squadre di studenti si affannano a cercare di far defluire il fango con ogni mezzo e portano fuori blocchi di melma entro cui si annidano i preziosi volumi.

La Biblioteca Nazionale di Firenze dopo il ritiro delle acque
Un'immagine della Biblioteca Nazionale di Firenze dopo il ritiro delle acque, tratta da Bell'Italia del novembre 2006.

Gli interventi di aiuto sono difficili: l'Esercito interviene prontamente, ma non è organizzato per muoversi. Le strade sono intasate dalle auto sbattute e rovesciate ovunque dall'acqua, che rendono difficoltoso anche il movimento delle imbarcazioni. Chi ha visto il film Amici Miei di Monicelli ricorderà la scena in cui il giornalista Perozzi viene sorpreso in fragranza di adulterio dai soccorsi via barca: scene di salvataggio che avvengono veramente in quella giornata. Soltanto dopo la visita del Presidente Saragat, avvenuta il 6 novembre 1966, lo Stato capirà la portata del dramma e verranno inviati a Firenze i mezzi necessari a rendere efficace il lavoro di Esercito e volontari. Nel mese di novembre saranno all'opera oltre 3.000 autocarri per caricare e portare via dal centro circa mezzo milione di metri cubi di melma e rifiuti vari.

A Firenze, fra gli effetti dell'alluvione, va contata anche l'evasione di 83 detenuti dalle Murate, le carceri situate in pieno centro storico, a due passi da Santa Croce. Il "pantheon" fiorentino registra invece il danneggiamento di buona parte del suo patrimonio artistico, ivi compreso il crocifisso di Cimabue, dipinto attorno al 1272, divenuto uno dei simboli dell'alluvione. Per cercare di salvare il prezioso crocifisso, i volontari lo trasportano nella limonaia del giardino dei Boboli, che diventa il deposito di emergenza delle opere d'arte strappate alla distruzione della piena.

LA TESTIMONIANZA

Tra coloro che raggiungono Firenze per portare aiuto c'è anche Giuseppe Lucchese, padre di Massimo della redazione Hellastory, che ci ha fornito questa bellissima testimonianza diretta:

"All'epoca dell'alluvione ero capitano e, poiché nel frattempo mi stavo laureando in ingegneria, fui inviato a Firenze per coordinare le operazioni con un Reparto Speciale di militari olandesi specializzati in questo tipo di interventi. All'epoca, i Paesi Bassi stavano completando un'attività di protezione del territorio grazie a dighe e sistemi di drenaggio dell'acqua all'avanguardia, per i quali erano maestri (i polder). Lo Stato italiano chiese aiuto all'Olanda che intervenne immediatamente inviando una Compagnia. Il viaggio per Firenze fu rallentato dalle continue interruzioni dell'autostrada a causa degli allagamenti. L'incontro con questi soldati fu impressionante per la loro organizzazione e capacità operativa. In pratica erano del tutto autosufficienti, si erano portati pompe, tubi, barriere mobili e ovviamente generatori elettrici perché non c'era corrente. Appena arrivato, smisi la divisa di ordinanza e vestii quella mimetica per poter essere subito a loro fianco. Il mio compito era quello di fornire loro materiale di consumo (dai sacchi della spazzatura, all'alimentazione, a tutto ciò che poteva servire in quel momento). Lavoravamo interrottamente giorno e notte, senza sosta, alternando un breve riposo e il cambio della tuta mimetica completamente inzuppata di fango. Oramai ero uno di loro, lavoravo con loro comunicando un po' in francese, un po' in tedesco e pensavano anche a lavare e ad asciugare la mia tuta stendendola con la loro.

Un gruppo di soldati durante i lavori di ripulitura nelle vicinanze di Santa Croce
Un gruppo di soldati durante i lavori di ripulitura nelle vicinanze di Santa Croce. Da Il Gazzettino del 13/11/1966.

La città. Il problema di Firenze è che la città è un continuo sali scendi e in alcuni punti, soprattutto del centro, gli argini dell'Arno avevano ceduto. In altri però avevano retto. Il nostro compito era quello di drenare acqua e fango dove la situazione era disperata e indirizzarla nell'Arno. Altri reparti dell'esercito avevano invece il compito di rinforzare adeguatamente gli argini in maniera tale da sopportare anche il getto che proveniva dall'interno della città.

La gente. Dopo un primo smarrimento iniziale, e anche di giustificato sconforto, ho visto una partecipazione impressionante. Forse perché ci hanno visto lì, in mezzo a loro, a lottare contro il fango e la devastazione. Senza perdere tempo, agendo ininterrottamente per liberare strade e negozi, cantine e piani rialzati. Tutto era invaso. Le auto erano sommerse. La città però cercava di reagire. Il centro, dove eravamo noi, era pieno di biblioteche di libri antichi. Ricordo processioni di persone che portavano in salvo libri. E poi, come sempre accade, ci fu una grande partecipazione: continuamente ci chiedevano di cosa avevamo bisogno, ci portavano caffè, tè, da mangiare. Ma noi non avevamo tempo da perdere. Era una lotta contro il tempo.

Il Papa. Paolo VI venne a Piazza Santa Croce e poi celebrò una messa. Erano presenti tutte le autorità. Io però continuavo a lavorare in altre zone. Tuttavia, una volta finito, fui ricevuto con una delegazione di soldati olandesi. Fu molto emozionante per me."

Piazza Santa Croce dopo l'alluvione
Piazza Santa Croce dopo l'alluvione. Foto tratta da polotecnico.gov.it

Torneremo a parlare di calcio nel prossimo servizio, raccontando la sesta giornata del campionato Primavera, disputata il 13 novembre 1966.


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Hellastory, 18/04/2017

MASTER OF NONE


L'inizio del terribile calendario di febbraio offre un paio di impressioni a caldo: 1) che il Verona è vivo e combatte, 2) che però è stato indebolito in attacco dal mercato di gennaio perché giocatori come Ngonge e Djiuric non sono facili da sostituire. A bocce ferme, quindi con maggior consapevolezza, possiamo invece realizzare che nel corso di gennaio abbiamo assistito a 3 eventi importanti, 2 dei quali francamente inusuali. In primo luogo, l'importante cessione di talento finalizzata a sistemare i conti societari. In secondo luogo, una serie di operazioni di mercato volte essenzialmente a lasciar andare quei giocatori che non si sentivano più parte del progetto. In terzo luogo, la bocciatura del sequestro delle azioni del Verona in sede di appello. Se però i primi due li abbiamo metabolizzati dal punto di vista affettivo oltre che tecnico costringendo i tifosi ad affidarsi completamente alla bontà del lavoro di Sogliano e Baroni e alla speranza che i nostri avversari non si siano adeguatamente rinforzati nel frattempo, il terzo apre a scenari che non riusciamo a valutare nella sua complessità.

[continua]

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Coppola D.

Duda O.

Folorunsho M.

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Magnani G.

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Suslov T.

Swiderski K.

Vinagre R.


 


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