Dopo
15 presenze in serie C con la Juve Stabia, e le 3 gare di playoff,
nella stagione 1994-95 Paolo Piubelli è pronto per tornare a Verona
e giocarsi un posto da titolare con qualche consapevolezza in più.
In panchina è rimasto Bortolo Mutti, che nel frattempo ha ottenuto
il patentino e non figura più come secondo di Fontana. Non c'è
più Cefis, ma a centrocampo la concorrenza non manca: è arrivato
Aladino Valoti, ma in particolare il 1994-95 sarà la stagione
dell'esplosione di Damiano Tommasi. Una coppia di centrocampisti
veronesi Tommasi – Piubelli (entrambi nativi di Negrar) è
un'ipotesi tutt'altro che remota in sede di ritiro estivo, ma il
destino è in agguato.
Paolo
Piubelli e Damiano Tommasi affiancati nelle foto della rosa 1994-95,
tratte da Almanacco 95 di Calcio Dilettante, edizioni UNIT.
Durante
l'amichevole estiva con il Rimini, il 7 agosto 1994, in uno scontro
di gioco Piubelli resta a terra con una grave distorsione al
ginocchio. Il dottor Filippini, medico del Verona, gli immobilizza
l'arto e rimanda agli accertamenti la diagnosi corretta, ma teme
che ci sia l'interessamento dei legamenti. La risonanza magnetica
cui viene sottoposto purtroppo non dà alcuna speranza: rottura di
crociato e collaterale. Quanto meno, lo si potrà rivedere in campo
fra un anno, pensano tutti.
Piubelli
racconta così sulle pagine de L'Arena la sua delusione: "A 23
anni pensavo di giocare un campionato decente, di dimostrare di poter
essere un buon giocatore. Dopo un anno di assenza, il rischio sarà
quello di perdere categoria. Ma ora non devo pensarci: aspetto
l'operazione con tranquillità e poi avrò tempo per pensare al
futuro. Avevo, ad esempio, lasciato gli studi: non si sa mai.
Vedremo".
Certo
non poteva immaginare che il rischio fosse ben maggiore: quello di
non poter più giocare a calcio. Il 17 agosto viene operato dal prof.
Gandolfi. E' solo il primo passo di un lungo calvario: Piubelli
subisce 2 interventi, ma la situazione pare non migliorare, al punto
che decide di rivolgersi al dott. Zorzi, allora medico della società
"rivale" del Chievo. Zorzi gli consiglia di farsi vedere da
Bousquets, luminare che già aveva salvato la carriera di un giovane
Roberto Baggio, messa a rischio da un serio infortunio ai tempi del
Vicenza. In società non la prendono bene: essere andato per un
consulto da Zorzi viene probabilmente visto come uno sgarbo da
qualcuno, fatto sta che Piubelli prende armi e bagagli e va a Lione a
sue spese.
Bousquets
è categorico: con quell'infortunio non è possibile tornare su un
campo di calcio, almeno non a fare il professionista. L'unica cosa
che può fare è rimetterlo in piedi.
Piubelli
però non si dà per vinto, e riprova ad allenarsi. Non conosce altro
nella vita. "Sono cresciuto a pan e balòn" ci spiega con
il sorriso sulle labbra, oggi che può guardare indietro a quei
momenti con distacco. Ma a quell'età non fu certo facile trovarsi
all'improvviso dagli onori della cronaca sportiva ad essere in
lotta con un infortunio che ti preclude la carriera. A maggior
ragione se la società per la quale giochi non ti supporta.
Come
la prendesti? Non hai più fatto un tentativo di tornare
all'attività?
"Certo
che ho provato, non mi ero arreso subito. Ma se facevo un contrasto
col piattone mi usciva il ginocchio dalla sede. Non mi rimase che
fare un ultimo intervento per rimettermi a posto, garantirmi una vita
normale, ma abbandonare ogni velleità di fare agonismo. Oggi posso
permettermi di fare ciclismo e nuoto, ma col calcio è meglio se ci
vado molto piano. Qualche tempo fa ho giocato una partitella a
calciotto con un'associazione di volontariato e per i due giorni
successivi ho fatto fatica anche ad alzarmi dalla sedia".
La domanda
viene da sé: gli interventi al ginocchio furono sbagliati?
"Per
quanto mi hanno spiegato, con 3 legamenti rotti su 4 non è possibile
tornare a giocare a calcio nemmeno oggi. Col senno di poi, rinuncerei
subito alla vana speranza di poter riprendere a fare agonismo, e mi
farei operare solo per rimettere in ordine i legamenti".
L'ultimo
intervento glielo fa direttamente Zorzi. A 23 anni Paolo Piubelli è
un ex calciatore.
Non si può
dire che tu sia stato fortunato...
"Molti
dei miei ex compagni, con i quali ancora ogni tanto mi incontro, mi
dicono che io sono stato più fortunato di loro, a ben vedere. Uscire
dal calcio a 23 anni mi ha dato la possibilità di rimettermi in
gioco, di studiare, di imparare un mestiere, di fare dell'altro e
assicurarmi un lavoro per il futuro. Spesso si pensa che il mondo del
calcio sia dorato, ma è bene ricordarsi che non tutti si chiamano
Franco Baresi o Paolo Maldini, tanto per fare esempi di calciatori
che hanno avuto carriere eccellenti per quasi 2 decenni. La maggior
parte dei professionisti è fatta da giocatori di medio livello che,
una volta che si ritirano, non hanno un lavoro e difficilmente sanno
inventarsi un'altra professionalità. Ci sono ex calciatori che
fanno i direttori sportivi di società semi-professionistiche
percependo a malapena un rimborso spese, nella speranza che arrivi
una chiamata dalle serie superiori. Sì, magari qualcuno di loro è
stato bravo a mettere via qualche soldo, ma trovarsi a 35 anni, o giù
di lì, di punto in bianco a non percepire uno stipendio, senza
nessuna fuoriuscita graduale dal calcio, non è facile".
Certo
all'epoca non potevi pensarla subito così.
"No
di certo. Andai a firmare la rescissione del contratto, un
quadriennale che avevo stipulato con delle condizioni veramente buone
per un giovane come ero io, grazie anche all'assistenza di Silvano
Martina, che avevo avuto come compagno nella stagione 91-92 e che,
appena smesso i guantoni di portiere, divenne procuratore. Era
davvero l'addio al calcio e a Verona mi sentivo opprimere. Tutto mi
ricordava quello che poteva essere la mia carriera e che non sarebbe
invece più stata. La testa finiva sempre sulle stesse cose. Dovevo
per forza cambiare aria".
Così parti
per Milano...
"L'assicurazione
fortunatamente mi riconobbe il 100% dell'infortunio sul lavoro, e
con quei soldi mi trasferii a Milano con l'intento di rimettermi a
studiare e di rifarmi una nuova vita. Cominciai a lavorare, a farmi
molta esperienza, insomma ad imparare a vivere. Quando smetti di
giocare a calcio non sai fare davvero niente, io non sapevo nemmeno
cosa fosse un bollettino postale e come si facesse a pagarlo. Ero
abituato ad avere altri che facevano tutto per me. Dovevo ripartire
da zero e dimenticarmi Verona, il Verona, e il calcio".
Quando sei
riuscito a tornare allo stadio?
"Per
almeno 2 anni non ne ho più voluto sapere, poi i miei amici mi hanno
convinto ad andare a San Siro a vedere una partita del Milan. A
proposito, lo sapete che da ragazzo c'ero anche andato, al Milan?
Ai tempi dell'Audace, il Milan mi fece un provino e voleva portarmi
a Milano. Papà era entusiasta, ma mamma non voleva lasciarmi andare
a Milano. Così Dario Baruffi mi convinse ad andare al Verona. Ebbi
comunque modo di fare uno stage a Linate dove conobbi anche Demetrio
Albertini".
Oggi Paolo
Piubelli ha 44 anni, vive in centro a Verona, è padre di una bambina
di 5 anni, Camilla, e gestisce la ditta Comferut di Cerea, avviata
dal padre Aldo, grande appassionato di calcio.
"Quando
ero ragazzo, mio padre mi portava a vedere le partite al Bentegodi,
ma giravamo spesso anche per altri stadi. Oggi andiamo ancora insieme
a vedere il Verona".
La
serata si conclude con il bicchiere della "staffa" in un bar del
centro gestito da un butel della curva.
"Anch'io
da ragazzo, quando non ero convocato in prima squadra, seguivo le
partite dalla curva Sud. Poi un giorno mi convocarono in sede e mi
"illustrarono" nuovamente le regole per diventare professionista: Forse non ci siamo spiegati bene, Paolo: tu in curva non ci devi
più andare!".
In
curva no, ma sotto la curva magari sì: ci piace ricordare Piubelli
esultante sotto la Sud in occasione della partita vittoriosa contro
il Bari del 22 settembre 1991.
Ventiquattro
anni fa Paolo Piubelli ci aveva fatto inorgoglire per la convocazione
nella Under 21 di Cesare Maldini; oggi abbiamo ascoltato con piacere
il suo racconto. L'Hellas Verona lo porterà per sempre sulla
pelle, ma vogliamo pensare che, in fondo, ci sia anche un'affinità
di spirito con la storia della squadra gialloblu. Una storia fatta
anch'essa di gravi cadute, da cui ci si rialza però più forti di
prima. A volte ci si rialza per entrare nella leggenda del calcio,
altre volte anche "solo" per diventare uomini. L'importante è
rialzarsi.
Paolo
Un
ringraziamento a Paolo Piubelli per la sua disponibilità e all'amico
Lorenzo, "fautore" di questo incontro.