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PROSSIMO IMPEGNO
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Promozione doveva essere e promozione è stata. Il risultato parla chiaro e l'obiettivo dichiarato alla vigilia è stato raggiunto. Si torna in serie A dopo un solo anno di purgatorio, come era già successo nel 1975 e nel 1991, e chi al Manuzzi, chi in piazza Brà, chi a casa davanti alla tv, al triplice fischio di Cesena ci siamo sentiti tutti più leggeri e felici. Eppure, se l'epilogo è stato positivo e tutto è andato per il meglio, perché l'impressione, a giochi fatti, non è quella di aver centrato un traguardo importante ma quella di aver fatto il minimo sindacale? È sempre fondamentale riuscire a scindere la percezione di un fatto dal fatto stesso. A volte, soprattutto di questi tempi in cui l'immediatezza dei social mette in rete, con la stesse modalità, notizie fondate e cazzate che in confronto i vecchi discorsi da bar erano tesi di fisica quantistica, la percezione rischia di portarci fuori strada, troppo lontano dalla realtà. Altre volte, invece, la percezione è quel qualcosa in più che sottintende una buona capacità di leggere la realtà oltre il contingente e quindi di attuare analisi più profonde, atte a preparare meglio il futuro. I fatti, come già esposto più sopra, dicono chiaramente che l'obiettivo è stato raggiunto. La percezione dei fatti invece, dice che ci si aspettava di più per quanto riguarda il percorso che ci ha portati alla promozione, e questo credo che metta d'accordo sia gli scienziati da bar dello sport che i tifosi più moderati e attenti. L'anno scorso di questi tempi, con un vergognoso ultimo posto ormai assodato da tempo, il tormentone era quello del "paracadute", ovvero la buonuscita riservata a chi retrocedeva: 25 milioni di euro che, secondo parecchi tifosi, non solo quelli della frangia più "complottista", potevano aver fatto gola alla società, quantomeno ad un certo punto della stagione. Quel paracadute, al netto di complotti veri o presunti, doveva essere il punto di partenza per un pronto riscatto e chiudeva a Setti ogni porta su possibili alibi rispetto all'unico obiettivo possibile: la pronta risalita in serie A. Gli arrivi di Fusco e, soprattutto, di Pecchia lasciavano qualche perplessità e se il primo, pur non essendo un nome altisonante, aveva comunque un curriculum rispettabile, l'allenatore risultava essere in tutto e per tutto una scommessa. Quello ai nastri di partenza, nonostante una campagna acquisti convincente, era un Verona che prometteva bene ma certamente non così tranquillo e fiducioso delle proprie capacità, anche perché nasceva in un ambiente ancora permeato da un'aura di incertezza e non ancora ripulito dalle scorie della retrocessione e dell'addio di Mandorlini, il cui fantasma non ha forse reso insonni le notti di Pecchia, ma di sicuro non lo ha aiutato ad accomodarsi su una panchina più volte diventata bollente nel corso della stagione. Poi le cose sono andate come tutti sappiamo: dopo la caduta di Benevento alla terza giornata, il Verona ha portato a casa 26 punti in 10 gare, giocando benissimo e dando l'impressione di poter ammazzare in fretta il campionato. A cavallo dell'inverno invece i risultati si sono invertiti, e dopo le imbarcate contro Novara e Cittadella la maglia gialloblu sembrava indossata da un'altra squadra. In primavera sono tornati i risultati, a scapito però del bel gioco, e pian piano si è risalita la china fino al triplice fischio di Cesena e ad ritorno in serie A concretizzato grazie agli scontri diretti favorevoli con il Frosinone e con il fiato sospeso fino all'ultimo. Al prezzo di un solo abbonamento abbiamo visto tre squadre ben diverse, assistito a tre campionati in uno, e poi gioito, imprecato e, infine, sospirato. Se parlassimo di trimestri e dovessimo ragionare in termini studenteschi, il Verona del primo trimestre ricorda molto quei "secchioni" che facevano i brillanti imparando tutto a memoria, alunni tatticamente perfetti che portavano fuori voti altissimi, almeno finché non arrivava ad interrogarli il proffe che li faceva ragionare e allora erano cazzi: si smontavano, entravano in crisi di identità, non riuscivano più a trovare il bandolo della matassa, la tattica era costantemente resa inutile dal fuoco di fila di domande che presupponevano generalizzazioni e collegamenti tra argomenti diversi, insomma, il secondo trimestre poteva diventare un inferno e di fatto, lo è stato. Il Verona dell'ultimo trimestre invece assomigliava allo studente furbetto e concreto, quello che si adegua al professore di turno, che sa arrangiarsi con pochi argomenti ma buoni, che magari si prepara col "Bignami" ma alla fine spunta sempre la sufficienza e viene promosso. Ed è quest'ultima la percezione che ci è rimasta, ovvero quella di una squadra che doveva e poteva chiudere prima il discorso promozione, che si è complicata la vita e che, alla fine, sembra quasi avercela fatta più per i demeriti altrui che per i meriti propri. Questa la percezione. I fatti? La realtà secondo me è meno drastica ma certo non idilliaca. Il campionato di serie B è tradizionalmente lungo e soprattutto diventa durissimo quando la classifica inizia a delinearsi e le varie squadre iniziano a definire gli obiettivi reali. Il Verona di inizio stagione non poteva durare per tutto il campionato, questo mi sembra chiaro, e non solo perché l'atteggiamento tattico presupponeva dispendio fisico notevole e una certosina cura delle posizioni e dei movimenti che, dopo un po', diventava comunque semplice da affrontare con efficaci contromisure; non poteva durare anche perché ad un certo punto serve una personalità difficile da costruire in così poco tempo, una mentalità tale da riuscire a tenere sempre alta la tensione. Il rischio, soprattutto dopo un inizio del genere, è che alle prime difficoltà si cada in un circolo vizioso in cui la crisi di risultati alimenta la crisi psicologica e viceversa, che è quello che poi è accaduto nella parte centrale della stagione. Ne siamo usciti, e verrebbe da dire "per fortuna", invece no: ne siamo usciti perché Setti non ha perso la testa quando la folla chiedeva la testa di Pecchia, e perché lo stesso allenatore ha saputo tenere duro, isolandosi dalle critiche e lavorando sodo. Certo entrambi hanno fatto degli errori, così come li ha fatti Fusco in sede di mercato a gennaio, ma dirigenza e guida tecnica hanno dato anche dimostrazione di coerenza e hanno saputo gestire la crisi. Ai giocatori dedico poche righe, ci sarà modo nel proseguo del dossier di analizzare meglio il capitale tecnico della squadra. Si meritano un cenno capitan Pazzini, grande professionista, ottimo giocatore e terzo capocannoniere del campionato con la maglia del Verona in 5 anni; Bessa, piedi sopraffini e un potenziale enorme ancora da esprimere se riesce a maturare nel carattere, e poi Ferrari, il miglior acquisto di gennaio e l'unico che salvo in difesa, peccato non sia nostro ma va senz'altro citato perché ha portato tranquillità nel reparto più fragile. Infine Pecchia, di cui ho già sottolineato la coerenza ma che merita qualche riga in più. A molti tifosi non è piaciuto fin da subito e nel momento di maggiore difficoltà in campionato si era rimasti in pochi a dargli ancora fiducia. Ancora oggi sento ogni tanto la frase "ce l'abbiamo fatta nonostante Pecchia". Credo che il mister abbia pagato oltremodo un atteggiamento troppo distaccato nei confronti di un ambiente che, al contrario, preferisce personaggi più sanguigni e in certo qual modo "ruffiani" nei confronti dei tifosi. È antipatico insomma, snob, sempre sulle sue e, per quanti non sono avvezzi con la geografia, anche più "meridionale" rispetto alle sue origini laziali, cosa che magari conta poco se tutto va bene ma quando le cose vanno male è sempre un buon motivo per rincarare la dose. Mettiamoci anche che al suo gioco, a Verona, non eravamo abituati. Tutto questo possesso palla, questo procedere in orizzontale, per carità: a tratti abbiamo davvero visto un grande calcio, ma siamo veronesi, gente estremamente concreta, poco abituata agli orpelli. Poi ci ha anche messo del suo, con qualche partita gestita oggettivamente maluccio e qualche episodio in cui si è avuta l'impressione che mancasse di autorità nei confronti di qualche giocatore. Ma alla fine il suo l'ha fatto, ha cambiato talvolta modulo e giocatori mettendosi in discussione ma tenendo sempre fede al suo modo di vedere il calcio. Vedremo cosa farà in serie A, certamente non mi rassicura come non mi rassicurava l'anno scorso di questi tempi: continua ad essere una scommessa ma stavolta conosce di più un ambiente rinvigorito dalla promozione (l'anno scorso al contrario era depresso per la retrocessione) e si spera che la società gli metta a disposizione una rosa competitiva, anche perché uno dei punti dolenti della stagione è che ci si aspettava di salire con un gruppo ben assemblato da ritoccare qua e là ma già in grado di affrontare la massima serie. Invece si torna in serie A con poche certezze e tanti punti di domanda, con una sensazione di precarietà che la società avrà non poche difficoltà a contrastare anche a fronte di una campagna acquisti che dovrà essere necessariamente di spessore. Siamo al passo con i tempi comunque, tempi di precarietà, nessuna garanzia del posto fisso in serie A e sicuramente tanti patemi che ci aspettano. Però stiamo meglio dell'anno scorso di questi tempi, quindi godiamoci questa estate che ci separa dal campionato, avremo tempo poi di sognare o di soffrire: "chi vuol esser lieto, sia, di doman non c'è certezza."
Davide
Lazio e Torino, che peraltro sono formazioni superiori, hanno evidenziato un tema già affrontato durante l'estate: la difesa. È innegabile che Sogliano abbia lavorato con maggiore attenzione alla scoperta prima e all'arrivo poi di giocatori di qualità a centrocampo e in attacco, in ottica plusvalenze. E si vede. Ogni partita scopriamo un gesto tecnico superiore alla media da parte di Harroui, Kastanos, Tengstedt, e perfino di Livramento e Mosquera. Altri ne arriveranno da nuovi giocatori che al momento non conosciamo bene perché si stanno ancora integrando. Per non parlare dell'evoluzione esponenziale di Belahyane che creerà non pochi, ma piacevoli, problemi di turnover al mister al rientro di Duda e Serdar. Sulla difesa invece non si è lavorato. O non abbastanza. Gli arrivi nel finale di Daniliuc e Bradaric non sembrano decisivi in un reparto dove Frese e Okou faticano ad adattarsi al livello del nostro campionato. E neppure i ritorni di Faraoni (bloccato a Verona solo a causa di un ingaggio pesante) e Ghilardi (mai veramente preso in considerazione) sembrano essere un valore aggiunto.
[continua]Qual è stato il miglior gialloblu in campo in
H.Verona-Venezia?
Riepilogo stagionale e classifica generale
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