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HELLAS VERONA / Canone Inverso

MANDORLINI: TUTTO QUI?


MANDORLINI: TUTTO QUI?

Mandorlini e il Verona cadono due volte nello stesso errore. Il tecnico dimentica in fretta Udine e, con una certa presunzione, si affida per il derby – con l'aria che tira, la partita più importante della stagione fino a questo momento – a due fedelissimi: l'inutile Nenè in avanti (che non sa più nemmeno centrare la porta di testa) e Rafa Marquez dietro (ovviamente ammonito nel primo tempo perché in ritardo e ovviamente fuori posizione in occasione del gol). Maran, che non è affatto presuntuoso, piazza un centrocampo a 4 e mette costantemente in affanno i vari Lazaros, Tachtsidis e Hallfredsson. Di conseguenza, marcando stretto Luca Toni (Nenè si marca da solo), non riusciamo a fare un solo tiro nello specchio della porta per tutta la partita, al contrario del Chievo che impegna Benussi con Radovanovic e Meggiorini. La rete di Paloschi sul filo del fuorigioco, nel finale, è stata beffarda esattamente come il famoso contropiede di Lazarevic, ma viene da un'azione impostata copia carbone degli ultimi gol subiti: dalla zona Gonzalez (altro pacco di Sogliano...) arriva un pallone morbido che sorprende sia il messicano rimasto impietrito che Rodriguez sempre in ritardo in questo tipo di tagli. Se non era capace di imporsi prima, ora la squadra non è neppure in grado di reagire e così consegna partita e onori agli ospiti. E, per la seconda volta consecutiva, meritatamente.

Mandorlini difende orgogliosamente le sue scelte, attacca tutto e tutti (il terreno di gioco, l'arbitro etc) ma continua a non vedere che la sua squadra non ha un'identità di gioco e non tira mai in porta. Un po' per colpa dei troppi infortuni (Martic non finisce una gara, si faccia benedire), un po' per colpa sua. Anche nell'occasione del gol, i difensori si sono mandati reciprocamente a quel paese piuttosto che contestare subito e con veemenza il guardalinee. Segno che il fuorigioco non era poi così evidente. Non è possibile che ogni volta che prendiamo gol (dopo le ultime 3 in classifica abbiamo la peggiore difesa del campionato) è sempre colpa di un episodio. Questo è piuttosto grave ed è indice del momento che stiamo attraversando: o Mandorlini accusa deliberatamente la malafede arbitrale (ci poteva essere un rigore su Toni, ma anche uno per il Chievo del solito Rafa Marquez su Paloschi...) oppure, se non ha le prove, è meglio che taccia e si concentri sulla fragilità dei suoi, mai veramente in partita. E' stata una brutta gara, nella quale abbiamo dato nettamente l'impressione di volerci subito accontentare. Esattamente come l'anno scorso. Bravo il Chievo a beffarci un'altra volta.

Confermarsi è difficile. Lo sappiamo. Però, se il 2014 doveva essere un anno di transizione lo è stato fino in fondo. Transizione nel senso di annata insulsa, senza capo né coda e senza un'idea progettuale: i talenti giovani sono stati ceduti e non sono stati rimpiazzati. Al loro posto un mucchio di trentenni (adesso si parla di Diamanti, pensa tu...) che forse non ha più tanta voglia di mettersi in gioco. Oppure viene utilizzato male. All'entusiasmo e intraprendenza sono subentrati una certa supponenza e incapacità di reazione. Quest'anno è cominciato con la cessione (mai digerita) di Jorginho ed è finito con la sconfitta interna del derby. In mezzo rari momenti di gioia (il pareggio interno con la Juventus, la rivincita esterna sul Chievo, il pareggio di San Siro con l'Inter) intervallati da tanta mediocrità e da qualche momento che facciamo ancora fatica ad elaborare (le sconfitte di Genova con la Sampdoria, quella di Napoli e infine il derby odierno).

La bella notizia è che ora si ferma tutto per una quindicina di giorni e che questa gara mette nuovamente tutti in discussione: tecnico, direttore sportivo e giocatori tornano ad essere sotto esame. Meglio riconoscere in fretta l'illusione. Ci sarà il mercato ad aiutare Sogliano ad incollare i pezzi di una rosa che, al di là degli infortuni (eccessivi anche loro), è stata assemblata senza capo né coda. Piena di fenomeni inutili (Rafa Marquez e Saviola, ma non per causa sua) e di eterne promesse che si sciolgono alle prime difficoltà (Tachtsidis e Nico Lopez), si è retta finora sulle spalle di Ionita, Juanito, Moras, Hallfredsson, Lazaros e Luca Toni ed è finita a ridosso della zona salvezza. La scorsa stagione, replicando il girone di ritorno con 21 punti, il Verona avrebbe sofferto molto di più. Oggi, con 17 (-9 rispetto lo scorso anno) e 3 gare difficili da affrontare (Empoli, Parma e Juventus) non può sentirsi al sicuro. Facendo una sintesi brutale, l'intero 2014 ha vissuto di rendita dei 3 meravigliosi mesi finali dell'anno precedente. Poi, una cinquantina di giocatori messi in campo non hanno portato alcun contributo né al miglioramento della fase difensiva, né di quella offensiva dove tutto è sempre affidato a Toni.

C'è bisogno di una pausa. Di recuperare idee, uomini e razionalità (l'unica partita nella quale forse era opportuno tornare al 4/3/3 per costringere il Chievo ad aprirsi non è stato fatto). In genere, dopo la transizione arriva la definizione: o ne usciamo fuori, oppure crolliamo. Gli eroi della promozione devono prima imparare a mettersi in discussione.

Buone Feste a tutti, con un po' di magone e nostalgia.

Massimo

Colonna sonora: Adeste Fideles, Luciano Pavarotti.



Hellastory, 22/12/2014
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L'inizio del terribile calendario di febbraio offre un paio di impressioni a caldo: 1) che il Verona è vivo e combatte, 2) che però è stato indebolito in attacco dal mercato di gennaio perché giocatori come Ngonge e Djiuric non sono facili da sostituire. A bocce ferme, quindi con maggior consapevolezza, possiamo invece realizzare che nel corso di gennaio abbiamo assistito a 3 eventi importanti, 2 dei quali francamente inusuali. In primo luogo, l'importante cessione di talento finalizzata a sistemare i conti societari. In secondo luogo, una serie di operazioni di mercato volte essenzialmente a lasciar andare quei giocatori che non si sentivano più parte del progetto. In terzo luogo, la bocciatura del sequestro delle azioni del Verona in sede di appello. Se però i primi due li abbiamo metabolizzati dal punto di vista affettivo oltre che tecnico costringendo i tifosi ad affidarsi completamente alla bontà del lavoro di Sogliano e Baroni e alla speranza che i nostri avversari non si siano adeguatamente rinforzati nel frattempo, il terzo apre a scenari che non riusciamo a valutare nella sua complessità.

[continua]

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