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PROSSIMO IMPEGNO
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Scherza coi fanti ma lascia stare i santi
Milano è una delle trasferte più classiche e prestigiose, di quelle che abbiamo a lungo sognato di poter riaffrontare quando eravamo in Lega Pro e in serie B. L'anno scorso, il ritorno alla “scala del calcio” non è stato particolarmente fortunato: 2 sconfitte su 2. E quest'anno già mette apprensione l'idea di dover giocare contro l'Inter a soli 15 giorni di distanza dal rovescio di Napoli. Da San Paolo a San Siro, mi fa notare Massimo: com'è che con i santi non abbiamo particolare feeling? Bisognerebbe forse affidarsi a San Zeno, il nostro patrono “moro”, che l'iconografia ci ha tramandato come un buon pescatore (in una delle formelle sui battenti della porta di San Zeno il vescovo è raffigurato mentre pesca in riva all'Adige). La pazienza non gli mancava, né deve mancare a noi tifosi. Icio e Valeriano, sul guestbook, facevano notare che a Milano vincono cani e porci: verrà anche il nostro momento?
I numeri dicono che domenica scenderemo a San Siro per la 50ma volta in serie A, un traguardo significativo. Nei 49 precedenti, 24 con il Milan e 25 con l'Inter, non ci è mai riuscito il colpaccio. Per la legge dei grandi numeri, prima o poi dovrà capitare. Meglio prima che poi ma, non illudiamoci, non saranno né i numeri né le solite voci di una squadra contro il proprio allenatore (Mazzarri) a darci una mano: come sempre, il Verona dovrà guadagnarsi tutto da solo.
Per la precisione, siamo soliti riferirci allo stadio di Milano come “San Siro” ma, dal 1980, lo stadio è stato intitolato a Giuseppe Meazza, leggenda nerazzurra che ha vinto i Mondiali del 1934 e del 1938 con la maglia azzurra. San Siro o Meazza che si voglia chiamarlo, nello stadio milanese abbiamo dei precedenti sconfortanti: su 25 gare in serie A con l'Inter abbiamo raccolto la miseria di 10 pareggi e 15 sconfitte e, soprattutto, abbiamo segnato solo 7 gol. A questo punto, gli “eroi” che hanno violato la porta nerazzurra meritano una citazione d'obbligo: il primo fu Maddè il 19 gennaio 1969, poi Reif, Guidetti, Elkjaer, Maniero e, per finire, Martinho e Romulo lo scorso anno.
Il Verona di Valcareggi “nemico” dello 0-0
A San Siro abbiamo già affrontato l'Inter alla stessa data del 9 novembre, per l'esattezza correva l'anno 1975, ed era la quinta giornata. I nerazzurri allenati da Chiappella ci rifilarono un rotondo 3-0, maturato tutto nella ripresa con le reti di Boninsegna, Mazzola e Bertini. Comunque vada quest'anno, sarà pressoché impossibile che l'Inter ci rifili 3 reti con 3 italiani diversi: è un altro mondo.
Vale la pena riportare un estratto della cronaca - piuttosto poetica - di Gian Maria Madella su L'Unità:
Un Verona che male non gioca, al contrario, ma becca regolarmente per l'apertura di gioco che offre a chi appena la sa sfruttare. Domenica ne ha presi quattro, oggi tre. E sempre giocando la palla, senza chiudersi un momento nel suo bozzolo più giallo che blu. In casa col Napoli doveva far calcio. Oggi a San Siro avrebbe potuto non farlo e nessuno lo avrebbe condannato. Ora, è da stabilire se sia meglio offrire spettacolo, come oggi a San Siro — una bella partita — e farsi travolgere tra gli applausi, o riedire il gioco italiano del meno ti scopri. Il pubblico sentenzierà nel prosieguo, ma questo Verona, nemico dello zero a zero, a chi piace vedere giocare per lo scopo del gioco del calcio (la palla portata oltre i pali avversari), soddisfa e diverte. E' incredibile che in quella panchina ci stia Valcareggi!
Era un Verona che, come abbiamo già visto anche in altre occasioni (ad esempio il campionato 73-74) era partito piuttosto male, una sola vittoria nelle prime 5 partite. Va anche detto che il calendario gli aveva presentato nelle prime 5 giornate le trasferte contro Juventus, Roma e Inter. La salvezza arriverà solo all'ultima giornata, con la rimonta a Firenze da 2-0 a 2-2, che assicurerà il punto necessario a raggiungere quota 24. Per la cronaca, con buona pace di Gian Maria Madella, con Valcareggi in panchina il Verona pareggiò a reti bianche 2 volte nel 75-76 (a Bologna e in casa contro il Torino), e ben 17 volte nel biennio 1976-78.
Un uomo nella leggenda: Pezzella di Frattamaggiore
Dicevamo prima che non è il caso di attenderci favori di sorta, né dalla cabala, né dai nostri avversari. Tantomeno dall'arbitro: se è vero che Michelotti ebbe il coraggio di assegnare al Verona un rigore a pochi minuti dal termine nel 1969 (poi fallito da Gianni Bui), è più frequente che venga “agevolata” la formazione interista. Come l'11 marzo del 2001, quando Saccani di Mantova assegnò un rigore a Vieri nonostante Ferron fosse nettamente uscito sul pallone.
Ma la giornata memorabile delle casacche nere in casa dell'Inter, ricordata anche da Carlo nel suo resoconto sui numeri delle 800 gare in A, fu il 15 settembre 1991. A San Siro arbitra Pezzella di Frattamaggiore, che crede di avere un conto aperto con la storia del football. Passano solo 2' e, per un fallo di Piubelli su Bianchi, Pezzella fischia il rigore; sul dischetto si presenta Lothar Matthäus, ma Attilio Gregori vola sulla sinistra e con la mano di richiamo sventa in angolo: da applausi.
Poco prima del riposo, nuovo penalty per atterramento di Berti; stavolta va sul dischetto Andreas Brehme che, qualora non bastasse, ha segnato il rigore con cui la Germania si è laureata campione del mondo un anno prima. Gregori para nuovamente, ma respinge la palla a centro area e, nonostante un disperato tentativo di anticipare in acrobazia i “centometristi” che si fiondano sul pallone, deve subire il tap-in vincente di Stefano Desideri.
Lo show di Pezzella è lontano dall'essere finito: nella ripresa assegna altri 2 calci di rigore, naturalmente tutti all'Inter. Il terzo della giornata lo calcia Ciocci che, evidentemente preoccupato dalla giornata di grazia del portiere gialloblu, spara fuori. Sul quarto rigore ci pensa Desideri, che completa la sua doppietta di giornata, anche se con il brivido, visto che la palla tocca il palo prima di finire in rete. Finisce con la vittoria dell'Inter per 2-0.
Inutile nascondersi, la tentazione di voler fare le vittime sacrificali prima ancora di giocare è palpabile. Scordiamoci i fasti degli anni Ottanta: è improbabile andare a Milano a giocarsela alla pari, ma almeno sul piano della grinta occorre fare gli straordinari. Nessuno si scandalizzerà se il Verona non facesse risultato, ma una buona fetta di credibilità su quanto la squadra sia “maturata” e si sia adattata alla serie A transita anche attraverso la prestazione. Magari una prestazione da “mastini”. Che poi, i mastini sono cani... una volta tanto si potrebbe fare a meno dei porci. O no?
Paolo
Lazio e Torino, che peraltro sono formazioni superiori, hanno evidenziato un tema già affrontato durante l'estate: la difesa. È innegabile che Sogliano abbia lavorato con maggiore attenzione alla scoperta prima e all'arrivo poi di giocatori di qualità a centrocampo e in attacco, in ottica plusvalenze. E si vede. Ogni partita scopriamo un gesto tecnico superiore alla media da parte di Harroui, Kastanos, Tengstedt, e perfino di Livramento e Mosquera. Altri ne arriveranno da nuovi giocatori che al momento non conosciamo bene perché si stanno ancora integrando. Per non parlare dell'evoluzione esponenziale di Belahyane che creerà non pochi, ma piacevoli, problemi di turnover al mister al rientro di Duda e Serdar. Sulla difesa invece non si è lavorato. O non abbastanza. Gli arrivi nel finale di Daniliuc e Bradaric non sembrano decisivi in un reparto dove Frese e Okou faticano ad adattarsi al livello del nostro campionato. E neppure i ritorni di Faraoni (bloccato a Verona solo a causa di un ingaggio pesante) e Ghilardi (mai veramente preso in considerazione) sembrano essere un valore aggiunto.
[continua]Qual è stato il miglior gialloblu in campo in
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